15 Settembre 2021
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15 Settembre 2021

Mannarino, il nuovo album, “V”, raccontato canzone per canzone

Tredici canzoni per un un disco che è un primordiale e futuristico al tempo stesso

Mannarino nuovo album V
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Mannarino nuovo album, la descrizione delle 13 canzoni di V, brano per brano.

Esce il 17 settembre il nuovo album del cantautore, un disco potente, fatto di 13 belle canzoni, un disco primordiale e futuristico che vuole essere un viaggio in profondità nelle radici dell’umano alla ricerca di forme nuove di resistenza che partono da un’immagine potente della donna.

Del disco abbiamo parlato con Mannarino in una videointervista che potete trovare qui. Ora andiamo a scoprire le canzoni…

Mannarino nuovo album V copertina

Mannarino nuovo album: V brano per brano

AFRICA

La prima canzone dell’album è una dichiarazione d’intenti, una porta che si apre, l’inizio di un viaggio. E proprio come il viaggio dell’umanità sul pianeta, anche il viaggio di questo disco comincia su terre vergini, tra orizzonti misteriosi e spiriti magici. La donna, la natura, l’irrazionale profondo, il corpo, una ritmica ossessiva che rimanda agli ancestrali rituali trance-genici.

Questa è l’Africa di Mannarino, l’origine comune degli esseri viventi, l’invito a partire per questo viaggio usando armi antiche nascoste nel nostro DNA, nella nostra memoria epidermica. Bene, partiamo, SIAMO TUTTI INDIGENI! E la donna è la nostra DEA.

CONGO

Vengono, Vengono, Vengono.
Questo si mormora in un paesino cristiano alla Vigilia di Natale, mentre un coro di bambini canta in chiesa e si apparecchiano le tavole piccolo borghesi.
Vengono dal mare, vengono dal deserto, vengono come le cavallette, salvate il pane!

Nascosti nel lampo della notte l’ultimo ricercato e l’ultima principessa vengono insieme, e forse è questo il “venire” che spaventa la gente del piccolo paese immaginario, “c’è un fiume rosso che sfonda le case, che affonda le chiese e arriva sempre una volta al mese”.

Qui la poesia si fa irriverente e affilata, diventa sberleffo pungente e romantico. Mannarino parla ancora una volta del corpo, della passione, e dello spirito vitale degli esseri umani e della natura, che non si può fermare.

La visione è apocalittica, a tratti biblica, parte dei bassifondi, salta su un letto e arriva in cielo a smascherare la bugia di Dio. Il paese viene sommerso, tutto crolla, tutto trema, vengono, vengono, e non si sanno fermare.

CANTARÉ

Il brano parte da una condizione di solitudine, ed evolve in un canto corale, come per raccontare che la voce senza il canto non ce la può fare. Tra rime in italiano, spagnolo e in romanesco, il pezzo trascina in un coro ritmato e arrembante che rimanda a una sorta di rituale collettivo atavico che celebra la forza di ogni voce umana, l’importanza liberatoria del canto, e di ogni vita che grida da sola mentre canta in un coro.

E così per un momento non si è più soli. Canti di rabbia, di rivolta, di resistenza, d’amore, sono lo strumento per superare l’idea di impossibilità, ingiustizia e delusione. La voce debole e isolata trova la forza di trasformarsi in grido di battaglia, invocazione al cielo, vagito della rivolta, riscatto e speranza.

FIUME NERO

Qui, ci si addentra nella giungla, nella carne viva dell’album, nella verità dell’attimo, del corpo, verità insormontabile e irrazionale. È un fiume nero che torna in cielo, un luogo al di fuori delle leggi dello spazio e del tempo, dove l’umano si fa Dio e mischia l’acqua con la lava, e divide il lampo dal tuono. Perché il lampo e il tuono accadono simultaneamente ma l’essere umano percepisce prima la luce e poi il suono.

Questo brano mette l’uomo al centro di una cosmogonia lisergica e allucinata.
Due corpi, due esistenze, due mondi si uniscono nell’infinito, fuori dal tempo, dallo spazio, dalle convenzioni e dallo scibile umano, dove le leggi della natura primordiale e selvaggia si smuovono fra le note come frattali in un disegno quantico emozionale.

Il cantautore sembra voler dire che siamo simulacri, attori che hanno indossato gli abiti della cultura, e ci prende per mano mentre entriamo in una giungla mistica, per perderci e quindi per trovarci e trovare il coraggio di sentire quello che siamo.

Tra suoni della natura e percussioni ancestrali, l’elettronica incarna e rappresenta la matematica perfetta della fisica e del mistero, e le voci e i suoni gutturali degli indigeni dell’Amazzonia registrati dal vivo dipingono il grido dell’uomo al di fuori del logos occidentale, voci che imitano i suoni degli animali, voci senza sintassi, come i corpi degli amanti.

AGUA

Gli occhi di Iracema sono d’acqua
La canzone parte sommessa come lo stillicidio di una lacrima, e prende le mosse dell’immagine di Iracema, la protagonista indigena del romanzo omonimo di José de Alencar.
In un susseguirsi di frasi archetipiche mentre la musica si arricchisce e si ingrossa come un fiume, il brano avanza inesorabile verso una celebrazione-preghiera alla potenza vitale dell’acqua.

Agua de cielo agua de fuego
Una foresta sonora si costruisce e prende forma.

E la corsa del fiume finisce in un outro che sa di presa di coscienza, di mare calmo. Noi siamo Iracema, tutti noi siamo indigeni, e il potere colonizzatore ha scambiato l’acqua del cielo con l’acqua del fuoco, l’aguardiente.

Uno spirito da bere
Ancora una volta la storia e il destino degli indigeni fa da specchio alla storia di tutta l’umanità.
E ancora una volta il rapporto tra un uomo e una donna è una via di fuga e di salvezza.

La croce poi la spada, poi la gabbia, e uno straccio per coprire questa macchia
In due versi l’autore descrive secoli di colonialismo, ma quello che sembra voler dire è che se tutti noi siamo indigeni, allora tutti siamo in qualche modo colonizzati.

L’ultima parola della canzone è “acqua”, un approdo antitetico al grido dei conquistadores “terra!”.
La potenza della natura viene sublimata da voci di donne guerriere, commovente il contributo delle donne indigene combattenti “As Karuanas”.

AMAZÓNICA

Registrata in Amazzonia nella regione del Tapajos, la voce delle donne indigene “AS KARUANAS” canta un testo scritto con Mannarino.

Kaáeté usapi uikú
Suú-itá uikú umanú
Kaáeté ēbira-itá uyaxiú
Kaáeté ēbira-itá

Le foreste bruciano
Gli animali muoiono
Le figlie e i figli dell’Amazzonia piangono

La canzone è un grido calmo, e bagnato di pianto, che sale dal centro della Terra e vuole dire al mondo di aprire gli occhi.

La Regione del Tapajos è una delle zone più colpite dalle politiche anti-indigene del governo Bolsonaro in Brasile. Le cantanti del brano hanno perso amici e familiari nella lotta (invisibile in Occidente) che i garimpeiros portano avanti contro i resistenti indigeni.

L’attacco alla terra indigena e alle risorse naturali dell’Amazonia si sta trasformando in un vero e proprio genocidio.

Clicca su continua per proseguire nel viaggio tra le canzoni del disco. Mannarino nuovo album, brano per brano parte II.

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