7 Febbraio 2024
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7 Febbraio 2024

Sanremo 2024, Giovanni Allevi: “Non potendo contare sul mio corpo, suonerò con l’anima”

Il pianista parla apertamente della sua malattia e del suo dolore.

Sanremo 2024 Giovanni Allevi
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GIOVANNI ALLEVI MONOLOGO

All’improvviso mi è crollato tutto.
Non suono più il pianoforte davanti a un pubblico da quasi due anni.
Al mio ultimo concerto alla Concert Hall di Vienna il dolore alla schiena era così forte che, sull’applauso finale, non riuscivo ad alzarmi dallo sgabello. E non sapevo ancora di essere malato.
Poi è arrivata la diagnosi. Pesantissima.
Ho guardato il soffitto con la sensazione di avere la febbre a 39 per un anno consecutivo.
Ho perso molto, il mio lavoro. Ho perso i miei capelli, le mie certezze, ma non la speranza e la voglia di immaginare.
Era come se il dolore mi porgesse anche degli inaspettati doni. Quali? Vi faccio un esempio.
Non molto tempo fa, prima che accadesse tutto questo, durante un concerto in un teatro pieno ho notato una poltrona vuota. Come una poltrona vuota? Mi sono sentito mancare.
Eppure quando ero agli inizi per tanto tempo ho fatto concerti davanti a un pubblico di 15/20 persone ed ero felicissimo.
Oggi, dopo la malattia, non so cosa darei per suonare davanti a 15 persone.
I numeri non contano.
Sembra paradossale detto da qui perché ogni individuo, ognuno di noi, ognuno di voi è unico, irripetibile e a suo modo infinito.
Un altro dono: la gratitudine nei confronti alla bellezza del creato.
Non si contano le albe e i tramonti che ho ammirato da quella stanza dell’ospedale.
Il rosso dell’alba è diverso dal rosso del tramonto e se ci sono le nuvolette intorno è ancora più bello.
Un altro dono: la gratitudine, la riconoscenza verso il talento dei medici, degli infermieri e tutto il personale ospedaliero. La riconoscenza per la ricerca scientifica, senza la quale non sarei qui a parlarvi.
La riconoscenza per il sostegno che ricevo dalla mia famiglia. La riconoscenza per la forza, l’affetto e l’esempio che ricevo dagli altri pazienti.
I guerrieri, così li chiamo, magari cerchiamo un altro termine ma non mi viene in mente niente. E lo sono anche i loro familiari, e lo sono anche i genitori.
I genitori dei piccoli guerrieri.
Ora come promesso vi ho portato tutti qui con me sul palco.
Anime splendenti, esempio di vita autentica.
Prima di andare all’ultimo dono, facciamo loro un applauso.
Ancora un dono: ma quanti sono? Quando tutto crolla e resta in piedi solo l’essenziale, il giudizio che riceviamo dall’esterno non conta più.
Io sono quel che sono, noi siamo quel che siamo e come intuisce Kant alla fine della Critica per la ragion pratica il cielo stellato può continuare a volteggiare nelle sue orbite perfette.
Io posso essere immerso in una condizione di continuo mutamento, eppure sento che in me c’è qualcosa che permane.
Ed è ragionevole pensare che permarrà in eterno.
Io sono quel che sono. Voglio andare fino in fondo a questo pensiero. Se le cose stanno davvero così, cosa mai sarà un giudizio dall’estereno?
Voglio accettare il nuovo Giovanni. Vado?
Per onorare la vostra attenzione, il tuo gentile invito e per dare forza e speranza alle tante persone che come me stanno ancora lottando contro la sofferenza, suonerò di nuovo il pianoforte davanti a un pubblico.
È un’emozione grandissima.
Mi sembra di intuire che siamo più di 15…
Attenzione però, ho due vertebre fratturate la D10 e la L1. Ho tremore e formicolio alle dita. Nome tecnico neuropatia. Però come dissi a quell’ultimo concerto a Vienna: “Non potendo contare sul mio corpo, suonerò con tutta l’anima”.
Suono Tomorrow perché domani ci sia sempre ad attenderci un giorno più bello.

 

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