Io amo la ritualità, sono cresciuto nella ritualità come evento sacro (mio padre stava in Vaticano).
La musica è il mio oggetto sacro. Il Jova Beach Party è come San Valentino, la gita fuoriporta.
Jova Beach Party è una roba da matti. Chi ci viene impazzisce. Chi non ci è stato e non ci sarà, non può immaginarlo. Può criticarlo e snobbarlo, ma non saprà mai cos’è.
Portare la festa in spiaggia è entusiasmante perché sulla spiaggia è iniziata la letteratura, quando i capitoli si chiamavano ancora canti. La vita è iniziata nell’acqua e poi è arrivata sulla terra.
In piccolo Jova Beach Party è un po’ questo: la rappresentazione più completa di quello che io amo.
Uso IO, ma è un IO collettivo di tantissimi elementi soprattutto umano, è un Jovaverso reale fatto di persone, lavoro, di moltissimi lavoratori. Siete seduti su dei fly case, che negli ultimi 2 anni sono diventati un simbolo di una richiesta, di disperazione, ma anche di fiducia.
Non abbiamo buttato i bauli perché non vedevamo l’ora di metterci dentro gli strumenti del nostro lavoro.
Jova Beach Party è un’industria.
Si arriva alla spiaggia con tanti linguaggi: la musica, la poesia, la grafica, l’ingegneria. È un mondo tangibile. È un’utopia temporanea, non una di quelle che non si realizza, è un’utopia che dura un giorno e in quel giorno si sospendono tante tensioni. La gente che viene si diverte come una pazza.
Le tradizioni servono a questo. Nelle tradizioni voglio trovare qualcosa di vecchio e qualcosa di nuovo di cui sorprendermi.
Come è nato il Jova Beach Party 2? Continua nella prossima pagina.