C’è un’immagine che non riesco a togliermi dalla testa. È il 16 settembre 2021. Un ragazzo di diciannove anni entra in uno studio televisivo gelido, protetto solo da una maglietta bianca e un paio di jeans. Non ha l’armatura dei glitter, non ha il paracadute di un ritornello catchy. Ha solo una storia da raccontare. Quando Gianmaria Volpato, per tutti gIANMARIA, apre bocca per cantare I Suicidi, accade qualcosa che nel pop italiano non succedeva da anni: il silenzio diventa pesante. Non era una canzone, era un’autopsia sociale eseguita con la precisione di un chirurgo e la disperazione di un poeta di strada.
Oggi, a distanza di quattro anni, quel silenzio è diventato un’altra cosa. È il silenzio dell’assenza. È il silenzio di una discografia, dove per discografia si intende non una casa discografica, ma una filiera di varie personalità, che sembra aver smarrito la capacità di proteggere le sue perle più rare. In un’epoca avida di contenuti ma bulimica di distrazioni, stiamo assistendo alla lenta, silenziosa evaporazione di uno dei talenti più luminosi degli ultimi dieci anni. E dobbiamo chiederci come sia stato possibile.
gianmaria e La “maledizione” della verità
Gianmaria è arrivato come un’anomalia. Vicentino, come Madame e Sangiovanni, ma con una “negritudine” dell’anima che lo portava a guardare dove gli altri chiudevano gli occhi. “I suicidi tutti in fila alla banca la mattina”. In una riga, Gianmaria aveva riassunto il fallimento di un sistema economico e umano. Non faceva pietismo, faceva cronaca esistenziale. Come scriveva il nostro Davide Misiano in questo articolo, Gianmaria non entrava nel sentimento altrui, lo viveva. Era “omeopatia del dolore”.
Ma la verità, nella discografia dei tempi brevi, è un bagaglio ingombrante. Il suo primo album, Fallirò, era un manifesto di onestà brutale. La copertina – una testa nascosta tra le gambe – era il rifiuto del volto per l’affermazione della voce e del racconto.
Gianmaria non voleva essere un poster, voleva essere un testamento. Eppure, abbiamo iniziato a vederlo ovunque tranne che nel posto giusto. Lo abbiamo visto sulle passerelle, lo abbiamo visto posare per magazine di moda come un manichino di lusso. Un segno che la musica, per chi lo gestiva, forse non bastava più. O peggio, che la sua unicità faceva paura e andava normalizzata, “pettinata”, resa appetibile per un mercato che preferisce i vestiti alle parole.
L’illusione del tempo e il collasso dell’identità
Il sistema oggi commette un peccato mortale: nega il tempo. Un artista come Gianmaria, per diventare un classico, ha bisogno di almeno cinque anni di “errori”, di tour nei club, di sigarette fumate male e di testi scritti di notte. Invece, gli è stato probabilmente chiesto di capitalizzare subito. Sanremo Giovani, Sanremo Big, le sfilate, i singoli estivi. Mostro è stato un disco riuscito, “psico-pop” lo abbiamo definito, capace di analizzare il disagio con una leggerezza apparente che nascondeva abissi. Brani come Popolare o Testamento ci dicevano che Gianmaria era pronto per il salto definitivo verso l’Olimpo dei cantautori anche se quella necessità di non apparire troppo triste e chiuso in sé stesso iniziava a spaventare.
Poi, qualcosa si è rotto. Il mondo della discografia, sempre più simile a un fast-food, ha iniziato a pretendere il “prossimo pezzo” prima ancora che il pubblico avesse finito di digerire il precedente. “Il pubblico mi chiede un singolo nuovo una settimana dopo averne pubblicato un altro”, diceva lui in un’intervista. Questa pressione “dopata” mangia l’arte. E Gianmaria, introverso, sensibile, preda di attacchi di panico che non ha mai nascosto, ha iniziato a cercare aria altrove. È arrivato il romanzo, Stagno, un’opera ruvida e sporca che confermava il suo talento letterario, ma che allo stesso tempo sembrava un rifugio sicuro lontano da una musica che non lo riconosceva più.
Manager, soldi e capricci: dove si perde la strada?
Dietro ogni talento che svanisce, a volte c’è una gestione miope. La filiera discografica non aspetta, ma anche l’artista spesso si perde tra donne, capricci e una voglia di vivere che è quasi un affronto verso chi ogni giorno lavoro 8/10 ore al giorno.
Gianmaria è stato seguito per anni dopo il talent da Antonio Filippelli, direttore artistico di X Factor, poi qualcosa si è rotto e ce lo siamo ritrovati alla ricerca di nuove sponde manageriali. In questo rimpallo di responsabilità, tra chi guarda solo al fatturato e chi si lascia sedurre da promesse di gloria istantanea, a morire è la musica.
Il caso di Gianmaria ci ricorda, con le dovute proporzioni, quello di Blanco. Quest’ultimo esploso in una maniera ben più travolgente di Volpato, è arrivato in fretta, troppo in fretta, allo stadio. Ci è arrivato prima di avere le ossa abbastanza forti per reggerlo. Blanco oggi ha iniziato a ritrovarsi come autore ma sia ancora ben lontani da rivedere quel ragazzo che ti travolgeva, per impatto visivo, grinta e talento.
Gianmaria invece sembra ancora bloccato in quello “stagno” di cui scrive, fermo prima del bacio, fermo prima dello sparo. Noi, che amiamo le canzoni che sanno di pioggia e di asfalto, non possiamo permetterci di restare a guardare mentre una voce così preziosa viene schiacciata come le Formiche di una delle sue ultime canzoni.
gianmaria e la musica di oggi: Cosa resta se togliamo il cuore?
Oggi Gianmaria è un’ombra che cammina tra le righe di un romanzo e demo spedite su Telegram. Ma la musica italiana ha di sicuro più bisogno di lui e dei suoi testi, dei suoi tormenti che sono anche i nostri, che di ritornelli catchy, inutili canzoni d’amore che svaniscono presto, come tutti gli amori del resto. Ha bisogno della sua incapacità di essere banale. Ha bisogno di quel ragazzo che a diciannove anni faceva piangere i giudici parlando di mutui e solitudine.
Un ragazzo la cui canzone, talmente era devastante e vera, che fu una delle ultime cose cercate da in rete dal 31enne Giacomo Sartori, suicida qualche anno fa e la cui storia è al centro del podcast di Niccolò Agliardi, A domani – La scomparsa di Giacomo (che vi consigliamo di recuperare che tanto il dolore, anche quello altrui, anche se lo ignorate, non è che scompare dall’esistenza umana.
La discografia dovrebbe smetterla di essere soltanto avida e concedere a Gianmaria, e a quelli come lui, il diritto di sparire per poi tornare con qualcosa che valga la pena restare. Perché se continuiamo a preferire la “Girlfriend del momento” o il capriccio del brand alla profondità di un testo, finiremo per ascoltare solo rumore. E Gianmaria non è rumore. È una frequenza purissima che stiamo rischiando di perdere per sempre.
Gianmaria, se ci sei, smetti di parlare con il muro e torna a parlarci. Abbiamo ancora bisogno di essere sfondati in faccia dalla tua verità.
N.B. Veniamo informati che Gianmaria, ancora in forze in Sony Music, è al lavoro su un nuovo progetto discografico con un nuovo management.











