Amici 24 segna un nuovo minimo: lontani gli anni delle certificazioni
Angelina Mango è l’ultima ad aver certificato un album (nell’edizione 22). Da allora il nulla. Prima, le cose erano molto diverse: basti pensare ai risultati della 16esima edizione (certificati Riki, Federica Carta e Thomas), della 17esima (Irama, Einar e Biondo), della 20esima (Sangiovanni, Aka 7even, Deddy e Tancredi) e della 21esima (Luigi Strangis e Alex Wyse) solo per citare chi ha raggiunto certificazioni FIMI con l’album post Amici.
Negli ultimi due anni? Qualche timido singolo: Rossofuoco di Mida, Mammami di Petit, Dimmi che non è un addio di Holden. Quest’anno, neanche quello.
La crisi è nel format, non nella musica
E no, non va meglio a X Factor. Lì si vendono ancora meno copie ma almeno il programma non “lascia un segno indelebile”. Cantautrici come Anna Castiglia e Francamente, pur uscite senza clamore discografico, stanno costruendo percorsi di credibilità tra premi, singoli e live.
Amici invece imprime un’identità invadente. Un format in cui vieni ripreso 24 ore su 24 mentre mangi, piangi, fai lezione e litighi. E finisci per sembrare un ragazzo qualunque più che un artista in divenire. Come se la musica venisse dopo.
Eppure, la crisi del pop c’entra poco. Provate a dirlo a Alfa, Ultimo, Tananai, Blanco, Annalisa. Il problema è il format. Forse è ora di rimettere al centro il televoto. Dare al pubblico la possibilità di scegliere davvero chi portare in finale e non costringerli a farlo “tra chi è rimasto”.
Negli ultimi anni nomi come Wax e TrigNO sono stati spinti apparentemente più di altri, per esempio Luk3, Aaron o Nicolò Filippucci, che sono risultati a posteriori decisamente più apprezzati dal pubblico pagante.
E se oggi, è una constatazione, non una critica, Amici assomiglia più a un’azienda discografica che a una scuola, allora dovrebbe agire come tale. Smetterla di chiedere ai ragazzi di cantare tutto, anche ciò che non è nelle loro corde. Dire a Zerbi che no, Amici non è come il militare (e nel caso, lì ad insegnare ci sono soldati qualificati).
Parliamoci chiaro, nessuno avrebbe mai chiesto a delle giovani Ornella Vanoni o Fiorella Mannoia di eseguire I Will Always Love You di Whitney Houston. Perché ognuno ha la sua cifra stilistica e la propria vocalità. Perché obbligare a farlo a chi ha appena 18 anni?
Tutto questo non li aiuta a crescere né a farsi percepire come veri artisti. Serve un percorso che non li faccia sperimentare tutto, ma che sia coerente con lo stile, il genere e gli inediti che presenteranno al pubblico. Solo così si costruisce un futuro, una carriera. O almeno ci si può provare.
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