Amici di Maria De Filippi inediti Testo & ConTesto
RAFFAELE, SENZA LOVE E IL SOLE ALLE FINESTRE
Senza Love (di Laura Di Lenola, Manuel Finotti, Raffaele Renda): il titolo mistilingue è abbastanza cringe (faccio l’esterofilo pure io, così magari l’autore del testo della canzone mi capisce). L’effetto che sortisce è pressappoco quello che suscita Giulia Salemi quando pronuncia la parola power. La banalità è, inoltre, una condanna annunciata se usi quella parola: persino gli anglofoni si sono stancati di chiamare l’amore “love”.
Il testo è un coacervo di ovvietà. I verbi più inflazionati (correre, non riuscire, crollare, urlare), i sostantivi e gli aggettivi più usurati appartenenti alla semantica del dolore esistenziale (freddo, abisso, sogno maledetto, rimorso, notte): sono parole vuote, per lo più segmentate e deformate da virtuosismi vocali non funzionali ad alcun intento comunicativo.
Se ci aggiungi che a cantare è Gigi Finizio (grande voce!) che cerca di imitare Mahmood, il risultato è mediocre.
Il sotterraneo istinto che ho di salvarlo si giustifica per il timore che provo nel concordare con Rudy Zerbi.
“Niente di nuovo sul fronte occidentale” neppure in Il sole alle finestre, che non dimentica neppure un cliché delle canzoni di speranza.
ConTESTABILI
DEDDY, IL CIELO CONTROMANO E PAROLE A CASO (di Leonardo Zaccaria).
In Il cielo contromano lui sembra, inizialmente, un po’ avvilito: scriverà in un diario i discorsi di lei al mare così da poter ricordare, fatto inusuale perché lui ricorda solo le sue paranoie. Poi dice che non gli frega niente delle stelle, che gli occhi fanno male e che aspetta di vederla all’improvviso senza un motivo (?!).
E mentre io già mi sono perso, anche lui dichiara “tutte le volte mi perdevo con gli occhi chiusi ad un semaforo” (sic!). Improvvisamente sembra lui quello forte, disposto a proteggere lei in ogni volo contromano, lei che si fa male e che non sa volare.
Fatto sta che alla fine lei lo lascia (“Invece adesso invece adesso / Chi stringi adesso? Chi stringi adesso?”): ha trovato un altro pilota.
In realtà scopriamo che si lasciano di comune accordo, perché hanno perso tutto l’entusiasmo, perché lei ha fermato gli orologi quando lui era distratto (?!). “Tu non dirmelo se poi ti manco / Io non ti dirò che adesso piango”, aggiunge. Una sorta di “ci lasciamo perché ci amiamo”. Decisamente “contromano”!
Parole a caso, invece, è l’ultimo singolo di Deddy. Mai titolo fu più sincero.
TESTI ConTESTABILI, a tratti DE-TESTABILI
ESA, DIMMI
Dopo 2021 anni dalla nascita di Cristo e dopo molti di più dal Big Bang, non accettiamo di sentire parlare ancora di amore come avrebbe potuto fare l’uomo primitivo appena acquisita la facoltà del linguaggio: “baciarti al tramonto”, “dimmi che ti manco”, “in amore non c’è limite”, “smettiamola di farci male”, “sognavo la tua pelle liscia sotto le mie dita”, “mi hai insegnato ad amare anche me”, “una cicatrice di un amore indelebile”.
E quando arriva “tu mi hai insegnato ad esser fragile”, noi cinici sentiamo di voler dire all’amore, se queste sono le sue vere sembianze, un perentorio “no, grazie!”.
Già in Nato due volte ci aveva abituato a una certa retorica.
ConTESTABILE
IBLA, LIBERTAD
Scelgo di salvarla perché appena sento “Yo soy…” mi metto a cantare scompostamente “Yo soy la tierra de tus raíces” e penso a Rosana Arbelo e alla mia adolescenza perduta? Forse.
Scelgo di salvarla perché, se chiudo gli occhi, sento una Gerardina Trovato andalusa che minaccia di cantare reggaeton? Forse.
Diciamo che la fusione di testo e musica è riuscita, ma diciamo anche che per cantare l’emancipazione femminile senza cadere nella maniera non serve solo una voce importante, ma anche una penna pungente.
Diciamo che, quando non si dispone del dono della penna ma si possiede una voce capace di soppesare la parola, occorrerebbe rivolgersi a degli autori con una più allenata capacità di penetrare la vita senza lanciare slogan già sentiti.
TESTABILE ma non troppo
SANGIOVANNI, GUCCI BAG
Molto significante, poco significato: nessi allitteranti, paronomasie (bisticci di parole con suono simile ma significato diverso), forestierismi di tendenza, similitudini continue o metafore concettose, ma vuoto semantico.
Sì, vuoto semantico: perché non basta l’espressionismo di “se mi cuci i buchi / se mi chiudi le ferite” a dar l’illusione di un disagio esistenziale se poi alla fortunata guaritrice regali una “bag di Gucci”.
Non perché voglia fare il moralista dicendo che l’attaccamento al cash o a ciò che è status symbol nella trap sia deprecabile, quanto perché nella trap almeno tutto ciò non ha la pretesa di essere accostato a un’argomentazione profonda, dall’intimismo quasi tragico: i trapper cantano il cash e le bitches perché rappresentano un quadro sociale che è sempre lo stesso, è vero, ma onestamente dichiarato.
Invece, SanGiovanni ci canta le ferite del vivere da poeta maledetto e ricompensa la taumaturga con una bag di Gucci: uno svilimento del tradizionale pegno d’amore. Come uccidere un topos letterario!
Poi, nel bel mezzo di un amplesso, descritto con dovizia di particolari, tuona “La salita è stata dura, però è peggio la morte”. Abbiamo il sospetto che servisse una massima condivisibile sui social in quei post emozionali che vanno tanto di moda.
ConTESTABILE
SANGIOVANNI, LADY
Si gioca la carta dell’uomo duro che, caduto in amore, riscopre il fanciullino. E nonostante il testo abbia delle ingenuità (“e la mia vita è irregolare come le rockstar”), tutto fa tenerezza, soprattutto il verso “ho una proposta sexy da farti, cresciamo insieme”.
Sincerità adolescenziale e cantabilità indiscussa (se non ti ricordi il testo o non ti piace, puoi sempre urlare l’immancabile Ra Ra Ra Ra) ci fanno promuovere il pezzo, più che il testo.
TESTABILE
EVANDRO, GUACAMOLE
Il titolo non promette. Temiamo che, se mai la canzone andasse bene, alla moda alcolica estiva si sostituirebbe una moda invernale celebratrice delle salse: e dopo Moscow Mule, Tequila e Guaranà, Margarita, Tequila e San Miguel, avremmo Guacamole, Senape e Salsa Barbecue a riscaldare i nostri amori.
Inoltre il titolo è desunto da una similitudine un po’ agghiacciante:
“e la mia vita è come il guacamole
mille ingredienti ma è monosapore
e non ti voglio offrire il mio cuore
che poi pretendi tutto quanto il circolatore”.
Qua e là scorgiamo un potenziale: “sono un po’ superficiale come te”, “sono pigro per amare” sembrano aprire una strada meno convenzionale, ma sono incidenti di percorso, oasi in un deserto di luoghi comuni.
Inizialmente ci siamo illusi fosse Evandro la cifra indie di questa edizione: ma non bastano “le buone cose di pessimo gusto” e non basta un’articolazione trascinata per sembrare dei ruvidi cantori del reale.
Non basta neppure una eloquenza strana, spezzata da silenzi infiniti, a conferire un’allure “indipendente” a un artista “dipendente”.
RIMANDATO A SETTEMBRE
AKA7EVEN, YELLOW
Un manuale di scrittura trap in miniatura: c’è l’alcool, c’è la baby da portare in macchina (strano che non sia di lusso!), c’è l’erezione calda dentro i jeans, c’è il fumo, c’è un po’ di corpo femminile (chiamato timidamente “fondoschiena” invece che “c**o”), c’è l’inglese e ci sono yeah yeah ehi ooh, che fanno sempre metrica quando non si sa che dire.
Non piace, ma non inquieta come non inquieta un male già noto. Fa ritmo al vuoto del pensiero.
Turba invece “hai una faccia gialla tipo yellow”, perché ti chiedi come sarebbe “una faccia gialla tipo black” ad esempio…
ConTESTABILE
ENULA, AURICOLARI
Mi piace l’immagine degli auricolari in cui nascondere il mondo, mi piace questa continua ricerca di un posto, mi piace che sia una canzone sulla fiducia, sulla capacità di trovare in qualcuno, profondamente diverso da noi, la chiave per accettare persino noi stessi.
Confesso di non amare quell’accumulo di immagini che pretendono di complicare intellettualmente quanto la semplicità può meglio disegnare:
“E hai capito il mare che ho dentro nella testa
altroché H2O sembra che c’ho dentro Ade che fa festa
e mi hai strappato da un peccato che sembrava l’eden
che cosa sciocca
la mela l’ho mangiata per ripulirmi la bocca”.
E confesso di non trovare troppo di originale nella voce della ragazza, né nell’idea musicale. Ma il testo sa creare delle occasionali suggestioni: ci sono degli sprazzi di ingegno che forse andavano meglio valorizzati.
TESTABILE, ma deve applicarsi di più
LEONARDO, VIA PADOVA E IL NATALE E L’ESTATE
Via Padova è scritto da Gianni Pollex, Leonardo La Macchia, Roberto Guglielmi e Stefano Milella: il testo è musicale, il linguaggio attuale, strategico il rimando a “Via Padova”.
Non è cosa nuova dare una dimensione urbana alla solitudine giovanile, in questo momento storico funziona come funziona il ricorso a termini impoetici di grande attualità: dopo il “bacio all’amuchina” ho temuto sinceramente un riferimento alla mascherina o persino alla tachipirina 500 che se ne prendi due diventa mille. Ma è finita lì.
Qualche frase mi è sembrata più promettente: “Dove finiscono le cose che perdi quando è troppo tardi?”.
La domanda sarebbe stata più evocativa senza il seguito: “Nelle tasche degli altri, di chi non conosci o in una discarica di cuori a pezzi?”. Ma – i giovani non sempre lo sanno – un’interrogazione sospesa è evocativa se si lascia a chi ascolta la possibilità di riempire lo spazio vuoto, forse in una maniera più interessante persino di quanto l’autore stesso potrebbe concepire: quanto è forte l’idea che qualcosa che si perde non abbia un luogo dove raccogliersi o abbia un non-luogo…
Ma, senza scadere in inutili cerebralismi, secondo me il livello lessicale, il tessuto fonico, la selezione delle immagini sono coerenti con la composizione melodica, con il movimento armonico, con la produzione, con la facile cantabilità del pezzo.
Ne vien fuori un brano dignitoso, senza picchi di valore estetico che possa attribuirsi al solo testo.
Il Natale e l’estate non è ancora uscito negli store; c’è ancora tempo per darlo a Mengoni. Il mondo ritratto è mengoniano, la musica ancor più.
TESTABILI
ARIANNA, L’AMORE DAVVERO
Il pezzo non è uscito sulle piattaforme digitali, per fortuna.
NON CLASSIFICATO