13 Gennaio 2021
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13 Gennaio 2021

Ornella Vanoni Un sorriso dentro al pianto Testo & Contesto. Il significato del nuovo singolo

Torna il nostro Prof di latino, Davide Misiano, che oggi analizza per noi il testo del nuovo singolo di Ornella Vanoni, scritto con Gabbani e Pacifico

Ornella Vanoni Un sorriso dentro al pianto
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Ornella Vanoni Un sorriso dentro al pianto Testo & Contesto. Quando esce un singolo della Vanoni mi precipito ad ascoltarlo come fossi in attesa di un antidoto. Un antidoto alla non poesia di questi tempi musicali.

Ornella Vanoni per me è un’interprete: una donna la cui voce è stata sempre guidata da una vigile capacità di scelta. Ogni interprete è un mediatore di significati, ma allo stesso tempo un veggente, un’entità capace di disvelare il segreto delle cose o caricare le cose di significati ulteriori.

La Vanoni non ha mai cantato tanto per cantare. Anche quando ha fraseggiato sulla più leggera canzonetta, ha adottato l’allegria “per affrontare la stupidità”.

È una di quelle che ha messo la firma sulla scelta del proprio repertorio. Ha saputo persino regalare sfumature semantiche aggiuntive a testi di per sé non eccezionali. Lo sapeva fare anche Mimì: scrivere, nell’atto stesso dell’esecuzione, qualcosa in più di quanto avessero già scritto gli autori.

Nell’autotune-age l’esecuzione è sacrificata dalla produzione. È di questi giorni il caso di Mace che, in collaborazione con Salmo e Blanco, ha sfoderato La canzone nostra.

La banale apologia delle colonne sonore dei nostri amori è affidata a una produzione abbagliante: dici “wow” ma non sai perché; non senti un respiro o un timbro vocale neanche a pagarli, perché la voce è parte dell’arrangiamento o meglio è dentro l’arrangiamento; non stai attento a una parola perché tanto chi se ne frega (e a un certo punto meglio, perché solo a leggere il testo vorresti un cambio di cittadinanza); non senti la penna, nemmeno quella di Salmo, che pure ha dimostrato altrove la sua identità autorale. Senti il suono perché il suono è tutto, è persino il senso del brano.

La canzone non esiste più: esiste la produzione. La musica pop, d’altro canto, va in questa direzione. Il caso Dardust è emblematico: scrive e produce tutto lui per tutti e poco importa se lo canta Mahmood, Elodie o Emma.

Sospetto che presto assisteremo a soli dischi di produttori, distinti per la loro identità di sound. E agli autori e agli interpreti guarderemo come a figure di servizio. È destinata a morire l’esecuzione, e il Covid ci sta mettendo la sua per accelerare il processo.

Ma la Vanoni torna e, per un momento, quando anche Mengoni minaccia un regresso all’infanzia emozionale accettando di cantare i biglietti dei baci Perugina scartati da Takagi & Ketra pur di fare un featuring con chi ha più streaming, mi illudo che ci sia l’antidoto.

Torna la Vanoni, che pare anche abbia collaborato alla scrittura. Ma tornano, in verità, Pacifico e Gabbani, autori di questo testo raffinato e vibrante che ora vi racconto.

ORNELLA VANONI UN SORRISO DENTRO AL PIANTO: TESTO & ConTESTO

Inizialmente ConTESTO, perché il titolo, in tutta franchezza, non è granché. Anzi lo definirei semplicistico e usurato, per nulla promettente.

In effetti la canzone non è un capolavoro di selezione lessicale, nonostante abbia alcuni momenti di sofisticata espressività linguistica. Funziona nel suo sentimento di insieme, e questo sentimento di insieme ci fa perdonare delle piccole ovvietà, cui forse una canzone che voglia essere pop – va ammesso – non può rinunciare.

A dispetto di quanto si dica in altre testate, a me non sembra affatto una canzone d’amore. È da inesperti ritenere “romantica” una canzone solo perché contiene la parola “amore” nel ritornello.

Mi pare che in questa canzone ci sia, invece, un forte egotismo. Sembra una autobiografia spirituale dell’artista, capace di ergersi al di sopra degli eventi della vita perché dotata del potere di cantarli, perché capace di cogliere l’immortale nelle cose, il principio che si sottrae alla caducità.

Ciò appare già nell’incipit, in quel latente rifiuto del selfie: una fotografia, l’ennesima, non può immortalare nulla, è un’istantanea statica di una vita che è invece movimento, disequilibrio, capovolgimento.

“E adesso che dovrei posare per l’ennesima fotografia
sai dirmi tu per caso la migliore inquadratura quale sia?
Ormai che con un selfie fai vedere tutto a tutti e così sia,

ce la incorniciamo?

O la butto via?”

Sono retoriche le interrogative iniziali con cui Ornella chiede che le sia suggerita l’inquadratura giusta, perché l’artista ha un’arma più forte: la compagnia privilegiata di parole e note, con cui può rendere la fisionomia mutevole del reale, con cui può stemperare un sentimento facendolo confluire in un altro, con cui può leggere i segreti inconfessati di un cuore.

L’artista è un’anima eletta, in equilibrio sopra un’emozione che capovolge l’esistenza.

“Se il cielo concedesse un po’ di grazia ad ogni anima quaggiù
io sarei una santa
anima che canta
Che canta in equilibrio sopra a un’emozione
che capovolge l’esistenza alle persone
che non si può spiegare fino in fondo
ma che resta in fondo al cuore”

Il ritornello è un vero ritornello, uno di quelli che non sentiamo da tanto; ha una replicabilità, una musicalità intoccabile.

L’artista ha la consapevolezza di essere tutto l’amore che ha saputo consegnare, nelle contraddizioni che ha saputo esplorare, nelle sfumature che ha saputo scorgere. Quell’amore che è coincidentia oppositorum, che ha la sua manifestazione e il suo retrogusto, il colpo e il contraccolpo.

“Io sono tutto l’amore che ho dato
tutto l’amore incondizionato
l’imbarazzo dietro al vanto
un sorriso dentro al pianto
Io sono tutto l’amore che ho dato
mare in tempesta e cielo stellato
poco prima di uno schianto
un sorriso dentro al pianto”

Ti ritrovi a cantare questo ritornello quasi prevedendo le parole e le rime, tale è la sua forza icastica. È fatto di espressioni ossimoriche che ci ricordano che ogni pensiero ha un suo ritorno, che ogni moto dell’anima vive del suo contrario.

E nella catena di parole semplici, ancorate a verità quasi familiari, un’espressione svetta per vigore poetico: quell’allusione all’imbarazzo celato dietro al vanto è un accostamento che colpisce, che si staglia nella semplicità del dettato perché fatto di emozioni peregrine; finisce persino per umanizzare il sentimento aristocratico che qua e là emerge nella canzone.

Tra le ovvietà di cui ho fatto menzione vi è certo la coppia “mare in tempesta e cielo stellato”, ma il cielo stellato è “poco prima di uno schianto”. Siamo abituati alla idea illusoria o pacificatoria della quiete dopo la tempesta, ma l’artista inverte le emozioni e attende il segno meno dell’esistenza, il valore della disarmonia: “il cielo stellato poco prima di uno schianto”, “un sorriso dentro al pianto”.

Nella seconda strofa riappare il set fotografico. “E adesso che mi chiedi di sorridere”, perché in una foto si deve sorridere, “vorrei dimenticare” tutto ciò che ho capito del vivere, “ferite da leccare e grandi amori solo da desiderare”.

Vorrei saper assecondare, canta Ornella, questo bisogno convenzionale di fermare la vita nella sua apparente armonia. Ma la consapevolezza che ho acquisito e che ho cantato è ciò che mi dà la possibilità di sopravvivere:

“Se l’universo scomparisse in un istante e non ci fosse più
io sicuramente
resterei per sempre
Per sempre in equilibrio sopra a un’emozione
che capovolge l’esistenza alle persone
che non si può spiegare fino in fondo
ma che resta in fondo al cuore”

Ritorna il privilegio dell’artista, cui è dato di esistere oltre le leggi del mondo, in equilibrio su quell’emozione in più che egli ha il dovere di scoprire, di interpretare, di eternare.

E quando Ornella chiude il brano con “E adesso che mi chiedi di sorridere vorrei dimenticare”, in realtà sentiamo il peso della reticenza, di una frase non conclusa. Sentiamo che vorrebbe aggiungere un “ma non lo so fare” o addirittura un “ma non lo voglio fare”.

Dimenticare potrebbe offrire l’apparenza della felicità, il sorriso di posa di un’istantanea alla mercé di chiunque. Ma chi ha letto in profondità non può accettare di dimenticare, non sa più accontentarsi della superficie.

SCRUTINIO FINALE

Non nego che la voce della Vanoni contribuisca a potenziare un testo già di per sé elegante, caricandolo del peso della sua esistenza: si sente che la Vanoni canta tutto il suo bisogno di muoversi scompostamente nella vita e fa di questa canzone un’autobiografia, a tratti orgogliosa a tratti fragile.

Una celebrazione del privilegio che le è stato concesso di incidere nella vita delle persone e di restituire, nell’unica forma possibile, i segreti indecifrabili del cuore.

Mi piace perché non parla né di amore né di nostalgia, a differenza di quanto molti altri siti di musica dicono.

Parla del dovere di attraversare tutto della vita per poterla comprendere a pieno. Parla della possibilità dell’artista di scavare nelle cose e di regalarci un paradigma per vivere e sentire.

Parla di quanto sia stupido dimenticare, di quanto sia importante ricordare gli squilibri e gli scompensi dell’amore. Ci dice che solo le emozioni indagate e restituite ci pongono al di sopra delle cose, ci rendono eterni.

E ci ricorda che la musica è la grande possibilità, per tutti noi, di afferrare un senso.