12 Maggio 2021
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12 Maggio 2021

Speciale Testo & ConTesto: a 26 anni dalla scomparsa l’analisi di tre canzoni per omaggiare Mia Martini

Il Prof di latino ricorda Mimì analizzando il significato di tre fra le canzoni più intense della sua discografia

Mia Martini le canzoni più belle
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LA COSTRUZIONE DI UN AMORE

Mia Martini incide il brano nel 1978  per l’album “Danza”. L’artista racconta di aver trovato sotto il titolo del testo originale, che l’autore Ivano Fossati ha sottoposto alla sua attenzione, il seguente messaggio: “Per il condono edilizio presentare domanda”.

La canzone è certo un bilancio della loro travagliata storia d’amore, segnata dalla gelosia acuta di lui e dall’irresolutezza di lei, e durata fino al 1984.

Per Fossati l’edilizia dell’amore si misura sempre con il rischio del crollo e con l’estasi delle altezze: è fatica che non ottiene compenso, amara e dissanguante; è esperienza investita meticolosamente e religiosamente, “come su un albero di Natale”; è meraviglia nell’assistere a un’opera che sale per direzioni imprevedibili o superiori alla misura stessa del cielo; è strada necessaria benché minacci sempre di mutare o di franare.

C’è un conflitto insanabile nell’amore, ci dice Fossati, ma nondimeno abbiamo bisogno di elevare piani, di farci sorprendere dall’imprevedibilità del costruire: “tanto che se finisse adesso / lo so io chiederei / che mi crollasse addosso”.

Lo stesso autore ha inciso il pezzo nel 1981 per l’album “Panama e dintorni”, fornendone un’interpretazione certo intensa, ma attraversata da una forte difesa delle proprie scelte d’amore, difesa rimarcata dall’accento che nel cantare egli decide di poggiare su quel possessivo “mio” (“La costruzione del MIO amore”).

La ‘ri-scrittura’ di Mimì, a mio avviso, insiste su altri dettagli. Esce dalla personalistica tutela del proprio sentimento, per tracciare un’esperienza universale: quella di ogni amore che fa a patti col dolore pur di assaporare quell’esclusiva meraviglia delle altezze, a cui si sale e da cui quasi sempre si crolla.

Quel finale mi sembra così forte dopo un ritornello aperto e verticale, in cui si sente il riconoscersi dell’artista nel bisogno d’amare a tutti i costi.

Non intendo esprimere una preferenza per una delle due interpretazioni, voglio solo porre la vostra attenzione sul potere della voce di Mimì, che non può definirsi solo ‘interpretazione’.

Sentite come risuona al femminile la consapevolezza che la cantante pone nelle parole “Dopo si dice l’ho fatto per fare / ma era per non morire / Si dice che bello tornare alla vita / che mi era sembrata finita”.

E sentite quanto è dichiarata la volontà di abbracciare totalmente gli scompensi dell’amore nel finale di questa esibizione. Questa è Mimì.

 

MIA MARTINI VOLESSE IL CIELO

Nel 1975 in “Sensi e controsensi” compare Volesse il cielo, adattamento, curato da Sergio Bardotti, di Ai quem me dera, canzone scritta da Vinícius De Moraes e musicata da Toquinho.

Una preghiera di pace, di libertà: la speranza che ritorni un canto senza confini e una “bellezza che non sai cos’è”.

Al di là delle diversa interpretazione ritmica, nell’articolare le parole e nel suo muoversi fluida ed energica tra intervalli difficilissimi da intonare con tanta perfezione, Mimì aggiunge alla malinconia dell’originale una nota di protesta nei confronti dei mali del mondo e degli uomini.

Lo si evince dalla solennità sintetica di questa esibizione live che voglio condividere con voi.

MIA MARTINI le più belle canzoni… LA NEVICATA DEL ’56

Nel 1990 La nevicata del ’56 si classifica al terzo posto al Festival di Sanremo e si aggiudica il Premio della critica. Il testo porta la firma di Carla Vistarini con la collaborazione di Franco Califano, cui impropriamente è spesso riferita l’intera canzone.

Un evento meteorologico, la nevicata intensa che si registrò in Italia nell’inverno del 1956, offre lo spunto per un affresco malinconico di Roma, che diventa “posto pure per le favole”.

Raramente ho trovato testi così evocativi interamente esauriti nella descrizione di una città o di un evento naturale. Un simile potenziale iconico è forse solo in La sera dei miracoli di Lucio Dalla, un altro scorcio indimenticabile della nostra Urbe eterna.

La voce di Mimì è quasi incrostata di memoria: sembra consegnarci l’unica e ultima documentazione di un istante che non può essere dimenticato, anzi, che merita di essere assegnato alla storia.

“Che tempi quelli lì”, detto così da Mimì, è proprio la sintesi della nostalgia (dal greco: nostos = ritorno, algos = dolore). La nostalgia di ogni viandante nella vita, con tutta la dolcezza che è sempre associata al dolore di un ritorno impossibile.

 

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