8 Febbraio 2020
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8 Febbraio 2020

Michele Zarrillo: “sono ancora qui perché la gente ama le mie canzoni”

Durante la conferenza in Sala Stampa Lucio Dalla, Michele Zarrillo dice la sua opinione sul Festival di Sanremo e si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa

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Michele Zarrillo partecipa al 70° Festival di Sanremo con il brano Nell’estasi o nel fango. Stasera tocca a lui aprire la serata finale della kermesse. Prima dell’esibizione, il cantante arriva in Sala Stampa Lucio Dalla per incontrare i giornalisti.

Michele Zarrillo esordisce: con questo nuovo brano sono voluto entrare in un mondo diverso dal solito. La canzone è nata in maniera anche un po’ inaspettata, è piaciuta subito e ho pensato di farla ascoltare ad un pubblico il più vasto possibile. Sanremo dà questa possibilità. Non c’era neanche il progetto di un album, che è work in progress. Il pezzo è trasmesso dalle radio, sta piacendo e sta andando bene: questo mi rende felice. Chi vive la musica e ascolta i brani senza alcun pregiudizio, ha notato le qualità di questa canzone che sono: l’arrangiamento, la composizione, la vocalità e il testo che invita a sperare e a non perdere la forza di reagire alle avversità della vita.

Il Festival di Sanremo fa ascolti alti, ma colloca i cantanti in gara ai margini tra i vari elementi dello spettacolo: ai cantanti serve essere presenti? o sarebbe più utile mettervi al centro della narrazione?

Sarei ipocrita se rispondessi che non sarebbe più utile per noi cantanti esibirci tra le 21 e le 23. Però, bisogna anche domandarsi se, nel caso fossimo tutti concentrati tra le 21 e le 23, ciò non farebbe scendere l’ascolto. Magari, un Festival basato solo sulle canzoni in gara non avrebbe lo stesso riscontro da parte della gente. E’ un po’ un rompicapo, quasi impossibile da risolvere. Parecchi anni fa, quando il Festival era concentrato solo sulle canzoni in gara, perse un po’ di appeal; così, decisero di togliere alcune serate. Poi, nel 1981, il Festival ha riavuto tutte le serate. Io ho esordito proprio in quell’anno. Insomma, non ho una risposta precisa. Io egoisticamente vorrei esibirmi tra le 21 e le 23 tutte le sere. Cantare all’1 di notte vuol dire cantare quando c’è un’audience più bassa, ma Sanremo vuol dire fare conferenze, interviste radiofoniche, programmi televisivi. Si viene a Sanremo e bisogna buttarsi nella mischia. Io mi sono sempre messo in gioco; tuttavia, i giornalisti hanno sempre avuto un certo atteggiamento un po’ particolare nei miei confronti. L’anno scorso, un ragazzo ha reagito e ha detto chiaramente ciò che pensava. Io ho uno stile un po’ diverso e penso che ognuno fa il suo mestiere; non posso però fare a meno di notare che spesso il giudizio dei giornalisti è contrario e diverso rispetto a quello della gente: lo dimostrano i miei successi.

Come definiresti questo Sanremo?

Ho fatto 13 Sanremo. L’ultimo è stato nel 2017 con Mani nelle mani. Questo Sanremo mi sembra leggermente più trasgressivo, più avanti, più 2.0. Si vive un’atmosfera un po’ diversa, ci sono molti rapper e trapper. Ci sono reazioni a frasi dette in buona fede. Si dà importanza a tutto, facendo diventare capri espiatori frasi o persone che stanno solo cercando di fare bene il loro lavoro.

Con tutti i successi che ci hai regalato, non senti un po’ di rammarico per non aver mai vinto Sanremo?

In realtà, almeno nei giovani, ho vinto il Festival ma capisco ciò che vuoi dire. Ho un caratteraccio di default. Mi piace l’amicizia, ma è più forte di me: sono avverso alle persone che vivono di falsità e pregiudizi, sono contrario ai finti saluti e alle finte amicizie. Io non mi filo nessuno: questa cosa può non piacere e può essere presa come un atto di arroganza. E’ una mia idea, una mia supposizione. Canzoni come Cinque giorni sono arrivate nei primi posti della classifica, ma forse meritavano di più; sono state votate anche dai giornalisti che hanno dato voti bassissimi. Poi, con tutti i miei successi che ho portato a Sanremo, non ho vinto nessun Festival ma sono ancora qui, sono uno dei pochi superstiti dei Festival di quegli anni. Dal 1981 sono qui. Quest’anno, se uno non capisce e non apprezza la vocalità che ci vuole per cantare questa canzone, forse vuol dire che c’è un po’ di malafede da qualche parte.

Cosa è rimasto del progressive-rock dei tuoi inizi?

Chi viene ai miei concerti, sa che c’è sempre qualche brano di quegli anni. In quel periodo la musica rock-progressive comprendeva tanti generi e tante anime. Anche L’elefante e la farfalla contiene alcune sfumature di quel periodo, ma bisogna saperle cogliere. Non credo di avere mai abbandonato quelle atmosfere. Però, bisogna anche essere dentro al periodo in cui si vive. Poi, bisogna sottostare a certe regole che condizionano il mondo della musica. Ciononostante, io cerco di essere sempre il più onesto possibile.