9 Aprile 2024
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9 Aprile 2024

Intervista a Michele Bravi: “Custodire la tristezza di qualcuno è una grande possibilità per innamorarsi”

Liberamente ispirato agli scritti di Oliver Sacks, "Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi" è il nuovo album del cantautore

Michele Bravi Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi
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In “Infanzia negli occhi” parli del bambino interiore, un concetto che ritroviamo anche in diverse pratiche di meditazione.

Il contatto con la propria infanzia offre sempre degli spunti di scrittura. Quando riesco a leggere negli occhi di una persona è perché mi sta permettendo di vedere la sua fragilità e, di solito, questo concetto viene spesso associato ai bambini, a un modo ingenuo di affrontare le cose. Ovviamente, si tratta di una semplificazione di immagini. Questo, però, mi porta a pensare che negli occhi delle persone che incontro c’è veramente tutta la loro infanzia, che rende impossibile non leggere la loro storia.

In “Se ci guardassero da fuori” ci scontriamo invece con la possibilità che la nostra immagine interiore possa non coincidere con l’immagine che gli altri hanno di noi. E questo, spesso, genera paura. Tu che rapporto hai con l’immagine che gli altri hanno di te?

Se penso al mio carattere è un rapporto intricato. Però, dal momento che il mio lavoro mi espone molto sotto questo punto di vista, è una cosa con cui ho imparato a convivere.

Si tratta di un tema che mi piace approfondire e mi affascina analizzare. L’immagine che conosciamo di noi stessi è un’immagine riflessa. Non avremo mai un’esperienza diretta di quello che siamo, di come ci muoviamo, di come ci comportiamo e di quello che facciamo trapelare senza saperlo.

E proprio questa traccia non può che richiamare alla memoria “Come mi vedono gli altri” di Luigi Tenco. 

Tenco è uno degli artisti che ho più ascoltato nella mia vita, oltre ad essere una grande fonte d’ispirazione. Nei suoi testi ha sempre approfondito dei temi molto forti. La sua grandiosità, però, per me è sempre consistita nel riuscire a raccontare queste grandissime profondità in armonie che fossero quasi degli standard. Insomma, per me Tenco rappresenta proprio un faro.

Ad eccezione di “Ti avessi conosciuto prima”, brano firmato da Giuliano Sangiorgi, le restanti dodici tracce di “Tu cosa vedi quando chiudi gli occhi” sono frutto della tua penna. Com’è stato questo viaggio in solitaria?

Io ho sempre scritto i miei dischi, però al mio fianco ho sempre avuto una squadra di autori, qualcuno che mi aiutasse con la geometria della musica. Quest’autonomia di scrittura è stata inizialmente straniante, perché quando sei da solo tutto può essere possibile. E, proprio questa libertà, all’inizio mi ha un po’ spaventato.

Poi, però, ho trovato una forte consapevolezza nell’imprimere la mia visione creativa all’interno di un progetto, cosa che – secondo me – mi aiuterà tantissimo a collaborare con altri artisti in futuro. Non voglio fare l’eremita. Semplicemente, mi serviva indagare la solitudine.

A questo proposito, le canzoni le hai scritte da solo, ma al loro interno c’è sempre un “noi”.

Sì, c’è sempre un noi. Io non riesco a scrivere canzoni che parlino solo di me, anche perché di me non ho esperienza: non mi vedo e non so come sono da fuori. Ho molta più esperienza degli altri.

Per me chiunque scrive di se stesso si prende un po’ in giro, perché non puoi fare un’autoanalisi. Puoi arrivare a delle lucidità, ma questo non basta. E poi, a me piace proprio raccontare quello che vedo degli altri.

Questo disco è stato scritto in giro per l’Europa, tra Londra, Parigi, Amsterdam e Milano. Ci sono dei luoghi, in cui magari sono anche nate delle canzoni, che sono poi diventati dei posti del cuore?

Sì! Il primo che mi viene in mente è un bistrot a Saint Germain, dove ho scritto diverse canzoni. Poi, c’è anche un altro ristorante a cui sono particolarmente legato, che si trova sempre a Parigi, vicino all’Opera. Qui ho vissuto uno dei momenti più intensi. Eravamo nel mezzo di un ristorante ed io ho iniziato a registrare una canzone. È come se l’avessi sputata fuori.

A maggio ti esibirai in teatro in occasione di due speciali anteprime (il 12 maggio al Teatro Dal Verme di Milano e il 26 maggio all’Auditorium Parco della Musica di Roma).  Puoi già dirci qualcosa sul tipo di spettacolo che proporrai al tuo pubblico?

Al momento sono in una fase di sperimentazione. Per me è interessante e necessario riportare dal vivo la stessa emotività che un ascoltatore ha quando ascolta il disco in cuffia. Quindi, stiamo valutando una serie di situazioni sonore che possano riproporre lo stesso impatto emotivo.

In chiusura, cosa vede Michele in questo preciso istante se chiude gli occhi?

Vedo tanta speranza che questo disco scavi un po’ nelle persone. Per me le metafore sono un modo per crescere. Sarebbe bello se queste mie metafore potessero far crescere qualcuno.

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