29 Ottobre 2023
Condividi su:
29 Ottobre 2023

Gabry Ponte: “Che ne sanno i 2000? un’intuizione nata grazie ai social network”

Gabry Ponte è tra i Dj più ascoltati al mondo e festeggia 25 anni di carriera con 4 show unici

Gabry Ponte
Condividi su:

Intervista a Gabry Ponte a cura di Monica Landro.

Gabry Ponte inizia ufficialmente la sua carriera nel 1998, quando produce “Blue (da ba dee)“, all’interno del fortunatissimo progetto Eiffel 65. Da allora sono passati 25 anni e la sua carriera non ha mai avuto alcun cenno di arresto, neppure quando ha iniziato a lavorare da solista, anzi a dirla tutta, da solo è sempre riuscito a tenere alta l’attenzione del pubblico e degli addetti ai lavori. Al suo attivo ha numerose produzioni e collaborazioni. Concerti in tutto il mondo, partecipazioni a programmi TV e nel mondo delle radio.

Oggi Gabry Ponte è uno dei pochissimi DJ Producer che porta avanti la dance italiana nel mondo, rendendoci orgogliosi e permettendo al nostro Paese di avere sempre un ruolo di rilievo nel settore della musica da discoteca.

In attesa dei grandi live del 2024, qui le date, ecco la nostra intervista.

Intervista a Gabry Ponte

Sei il Dj-Producer italiano numero Uno al mondo per ascolti su Spotify. Nella tua carriera hai collezionato 2 dischi di DIAMANTE, 39 certificazioni PLATINO e 22 ORO. Nominato ai Grammy con oltre 3 MILIARDI di stream globali. Qui non si tratta di essere il primo della classe nella tua materia ma il numero Uno al mondo. Come lo vivi, che emozioni ti arrivano?

Grazie, ma in realtà il merito non è assolutamente solo mio. Io ho la fortuna di lavorare con un team fantastico e in questi lunghi anni, a partire dalla Bliss Corporation, una factory con la quale io sono nato artisticamente come produttore, e poi con gli Eiffel 65, ho sempre capito che la forza è il TEAM.Inoltre, va detto che quello che una volta era solo il concetto del fare musica, negli anni è cambiato.

Oggi esiste un modello internazionale di Dj, che viene gestito come un brand, partendo dalla musica, alla gestione del dj attraverso management, promo, live. Ogni ragazzo del mio team ha competenze specifiche e quindi io sono solo la punta dell’iceberg ed il successo non è solo mio.

Partiamo dall’inizio: quando hai cominciato a fare questo lavoro?

Partiamo dal fatto che non era un lavoro. Avevo 16 ed ero appassionato di musica elettronica. Ho imparato piano piano a capire come si producevano i dischi. In quegli anni stavo a casa con una attrezzatura molto rudimentale. Ricordo quanto stressai mio padre per avere il mio primo campionatore! E poi mi facevo il giro delle etichette discografiche con la mia cassettina e non succedeva niente ma poi ad un certo punto mi sono avvicinato alla Bliss Corporation di Massimo Gabutti e Luciano Zucchet che sono stati i miei mentori. Mi hanno insegnato a produrre in maniera professionale.

Uno dei dischi era Blue, che inaspettatamente è diventata una hit mondiale. Quando dico che non era un lavoro, intendo in tutti i sensi perché quando noi abbiamo iniziato non avevamo la più vaga idea che questo potesse succedere e che un giorno un DJ avrebbe potuto riempire i palazzetti. Il DJ allora era l’evoluzione umana di un Juxe Box: stava in un angolo in discoteca, al buio, metteva la musica… poi con gli anni è diventato quello che la musica la produceva, poi è diventato un artista, un performer e poi è diventato un po’ il centro di questo movimento pazzesco.

Tu hai visto evolversi la musica dance in questi anni. Quali sono le tendenze che credi abbiano avuto un impatto duraturo?

La prima è stata sicuramente l’hip hop perché quel mondo alla fine degli anni ’80 si è fuso con la musica house che partiva dai club storici americani, con i primi DJ che cominciavano a performare con due giradischi come se fossero degli strumenti, quindi Frankie Knuckles, DannyTenaglia e questi nomi che chi è della mia generazione ricorda di sicuro. Dalla fusione Hip hop e house, è nata la Hip -House, quindi i primi dischi di Technotronic o Black Box. Un’altra influenza fondamentale, che ha dato la svolta è stato il POP.

Gruppi come i Depeche Mode, i Pet Shop Boys in quegli anni iniziavano a contaminare e mescolare le loro produzioni pop con la musica elettronica, dando vita ad un fenomeno che ha reso la musica elettronica mainstream. E noi questo abbiamo fatto: abbiamo iniziato a fare canzoni pop con il sound che ci piaceva, quello elettronico.

Una volta la dance italiana era in cima alle classifiche del mondo. Oggi, a parte te, Meduza e Benny Benassi, che siete Top Producer, sembra che non ci siano più gli sbocchi di una volta. Come te lo spieghi?

La dance italiana ha sempre avuto dei momenti di gloria. Abbiamo citato i Black Box, poi Robert Miles, poi siamo arrivati noi. In tutti i Paesi in realtà ci sono momenti in cui il background musicale del territorio riesce a trovare la strada giusta. È successo agli svedesi con gli Swedish House Mafia nei primi anni 2000, agli olandesi con Tiësto… è un incrocio di cose che si allineano. Ma tu devi comunque evolverti per rimanere nel cuore dei fan.

Noi ci rivolgiamo al pubblico dei club, che è frequentato dai giovani. Sono loro che fanno da amplificatore ma sono anche quelli che si stufano più velocemente perché le mode cambiano, il suono cambia e tu devi sempre riadattarti per riconquistarti le nuove generazioni.

La tecnologia live ha fatto enormi progressi. Qual è il tuo SET UP ideale? Utilizzi il computer o vai di analogico con i piatti?

Non uso mai il computer ma non credo sia un problema farlo. Alla fine quello che conta è il legame che si riesce ad instaurare con la gente e quello che riesci a comunicare. Ci sono artisti molto validi che usano solo il computer, quindi non fanno propriamente i DJ. Per esempio Deadmau5 è uno degli esponenti massimi della scena elettronica mondiale ma lui stesso non si dichiara DJ perché da sempre usa il computer e performa con quello. Io ho iniziato con i piatti, per me è questione di comfort zone, riesco a gestire meglio il flow della serata. Conta l’atmosfera, l’unicità e l’originalità di quello che fai.

Nella tua carriera hai collaborato con artisti italiani ed internazionali. Da Little Tony a Marracash, per citare gli italiani. Cosa ti ispira nelle tue scelte dei nomi sul mercato?

Funziona al contrario. Non parte mai dall’idea di voler collaborare con qualcuno. Parte tutto dalla musica e l’artista che è entrato nel mio progetto lo ha sempre fatto in maniera spontanea. Per esempio, con Little Tony ho fatto “Figli di Pitagora”. Volevo che lo cantasse qualcuno ma non avevamo nessuna idea.

Casualmente, l’anno in cui noi siamo andati a Sanremo, nel 2003, in gara c’erano Little Tony e Bobby Solo, e siamo entrati in contatto. Tony era una persona simpaticissima con la quale siamo entrati subito in empatia. Abbiamo pensato di proporre a lui di cantare quel brano che tutto sommato parlava della nostra italianità, del fatto di unire le generazioni con la musica e quindi glielo abbiamo proposto. All’inizio era un po’ scettico, abbiamo fatto il provino in dieci minuti poi lui lo ha riascoltato in macchina, mi ha chiamato e mi ha detto “Gabry, è una bomba! Facciamolo!” Nascono così le cose…

Hai citato Sanremo: ti chiama Amadeus. Pensi che ti proponga di andare in gara tra i big o che ti proponga di invitarti come ospite internazionale come fece con i Meduza nel 2022?

Non metto mai vincoli a quello che può capitare. Oggi sono più proiettato su un percorso internazionale, però ho fatto anche tante cose in italiano. Se un giorno dovessi avere un pezzo che mi piace, in italiano e mi chiedessero di portarlo a Sanremo, perché no? Bello come ospite ma anche bello in gara. Sono due cose diverse ma resta che Sanremo è un palco prestigioso al quale aspirano tutti. Una cosa non deve escludere l’altra per me.

Nel 2006 nasce “Che ne sanno i 2000” che all’epoca andò alla grande ma che ancora oggi è una sorta di “claim” per spiegare alle nuove generazioni cosa si sono persi…

Avevo scritto questo pezzo sull’onda di “Cosa resterà di questi anni ‘80”, un brano di Raf che mi piaceva da ragazzino. Ho pensato che anche per gli anni ’90 ci potessero essere molte cose da raccontare. Doveva essere un pezzo per gli Eiffel, ma a loro non convinse e restò lì per qualche anno. Poi un giorno mi chiamò Danti, con il quale avevo già collaborato, e mi disse che su Youtube e su Facebook girava l’hasthag #chenesannoi2000 e che secondo lui era un’onda che andava cavalcata. Io ho fatto subito il collegamento con il mio brano, l’ho preso, ho riscritto il ritornello con Che ne sanno i 2000, tenendo le immagini di Bim Bum Bam, Festivalbar… gliel’ho mandato ed è partito tutto. Quindi questo successo è nato così! Una bella intuizione.

Veniamo a oggi. Quattro show nel 2024, per festeggiare i tuoi 25 anni di carriera. Ci puoi anticipare qualcosa sulle scenografie, gli effetti speciali, gli ospiti, la scaletta?

In realtà stiamo lavorando già sodo per mettere a terra lo spettacolo. Stiamo facendo le valutazioni di carattere tecnico. Solo il mese prossimo riusciremo a lavorare sullo show, quindi davvero ancora non saprei dire. Sicuramente ci saranno tutte le mie Hit: da “Blue” alla più recente “Easy on my heart

Allora, intanto una cosa la diciamo noi di All Music Italia. Queste tutte le date:

  • 27 gennaio – Mediolanum Forum – MILANO SOLD OUT
  • 02 marzo – PalaAlpitour – TORINO SOLD OUT
  • 06 aprile – Unipol Arena – BOLOGNA NUOVA DATA
  • 15 giugno – Rock in Roma (Ippodromo delle Capannelle) – ROMA

CLICCA SUL BANNER PER ACQUISTARE I BIGLIETTI


Foto di copertina di Alessandro Treves