È un’intervista rilasciata da Clara a Chiara Ottolini su Vanity Fair ad aver attirato la nostra attenzione in questi giorni, intervista in cui si parla di musica, risultati e salute mentale.
Clara, tra musica salute mentale e la pressione del successo
La cantautrice, parlando del suo momento e della scena musicale attuale, tocca un punto fondamentale per chi oggi fa musica: le aspettative imposte, le pressioni psicologiche, l’ossessione per i risultati immediati. Lo fa con parole che meritano una riflessione più ampia.
“È un’industria competitiva. Si percepisce eccome una certa Fomo (Fear of Missing Out, ndr). Ma ho dalla mia parte persone che hanno chiaro che sto correndo una maratona, non una corsa cento metri piani.
Sembra che se non riempi i concerti sei una sfigata. Che ansia! Nel mio primo tour, in alcuni club non ho superato la metà della capienza. Non mi sono sentita una perdente, mi sono detta: vabbè, con calma spero di convertire gli ascoltatori di Spotify in spettatori ai live. Però mi rendo conto che ci si aspetta una rapidità di successo folle. Ehi, calmi: sto in giro da due anni”.
E in effetti è vero: nessuno dovrebbe sentirsi un fallimento per non aver fatto sold out al primo giro. Ma – ed è un ma doveroso – se il pubblico non viene a vederti dal vivo nonostante tu sia in una major importante, abbia fatto due Sanremo consecutivi, firmato featuring di prestigio, ottenuto visibilità nei pochi programmi tv rimasti e ricevuto un sostegno promozionale impeccabile, ma la risposta continui ad arrivare quasi solo da adv e partnership con i brand… allora forse qualche domanda su che musica si sta proponendo e su come la si comunica bisogna farsela. Perché la musica è un’arte, certo, ma è anche un lavoro. E ogni lavoro, inevitabilmente, richiede dei risultati.
Risultati che si ottengono costruendo una carriera graduale e credibile, basata non solo su hit ma anche su brani capaci di vincere la sfida del tempo (vedi per esempio Tiziano Ferro) e che costruiscano uno storytelling di artista unico nel suo genere.
“I giornalisti, i tiktoker che analizzano quanto vendiamo noi cantanti… È come avere una pistola puntata alla tempia: o fai sold out o sei fuori. E poi si parla tanto di salute mentale…”.
Numeri, classifiche e pressione mediatica
Ora. Diciamolo subito: su gran parte delle cose che dice Clara siamo d’accordo, ma la cantautrice deve anche capire alcune cose. Le classifiche, i numeri, i confronti ci sono sempre stati. E, per inciso, hanno sempre fatto discutere, arrabbiare, esultare e incavolare gli artisti. La musica ha da sempre anche una componente gara. Così come il cinema e più di tutti lo sport. Non sono mai stati una novità, né un male in sé.
Ma oggi c’è un moltiplicatore costante, quotidiano, asfissiante: si chiama social network. Dove ogni giorno si giudica, si conta, si confronta, si divide. Ed è lì che le pressioni diventano ossessioni. E noi lo capiamo.
E anche noi – sì, noi stampa, siti e divulgatori musicali – non ci tiriamo indietro. La verità è che questi articoli vengono letti più di altri. Il pubblico li cerca, li commenta, li analizza. Lo stesso pubblico che chiede le pagelle di Sanremo e che fa impennare il traffico dei siti appena escono le classifiche FIMI o le top 10 di Spotify. E non è un caso se un importante quotidiano nazionale pagella con voti praticamente ogni cosa.
E anche noi, come Clara, dobbiamo dare al pubblico quello che chiede ogni tanto. Lei il tormentone con Fedez, noi classifiche e dati.
Il grande assente: Spotify
Quello che però va detto – e qui arriva la prima critica – è che nell’elenco di chi contribuisce alla pressione costante (giornalisti, tiktoker, influencer), Clara dimentica qualcuno. E non può che essere per opportunismo a nostro avviso.
Perché non nominare Spotify? È proprio da lì che arrivano la maggior parte dei numeri che mettono sotto pressione gli artisti. È lì che tutto è pubblico: stream giornalieri, mensili, totali. Le playlist editoriali, le classifiche virali, le copertine. È da lì che partono i paragoni.
Se le classifiche FIMI parlano per posizioni e le certificazioni raccontano traguardi, Spotify espone tutto, ogni giorno, senza contesto. E questo alimenta il meccanismo. La verità è che se quei numeri non fossero pubblici, ma visibili solo agli artisti (come succede su Apple Music o Amazon Music), metà di questi articoli non esisterebbero.
I numeri comunicati dagli artisti
Secondo punto. Ogni comunicato stampa che riceviamo in redazione inizia così: “Tot milioni di stream”, “primo in tendenza”, “sold out ovunque”. Poche parole sulle canzoni, sul perché è nato quel brano, su cosa vedremo nel tour. Solo numeri e traguardi per dare uno status.
Quei numeri cara Clara, vengono letti da altri artisti – magari più piccoli, magari senza Sanremo alle spalle, senza duetti celebri, possibilità di essere nelle manifestazioni tv o una major a supporto, e non necessariamente per mancanza di talento, le componenti sono molto più complicate. Ecco quei numeri positivi che date diventano coltelli nella carne viva di questi artisti. Perché è anche lì che si rompe l’equilibrio mentale.
clara: Salute mentale, numeri e narrazione in musica
Quindi sì, Clara ha ragione a parlare di salute mentale. Ma se davvero si vuole cambiare qualcosa, servono gesti concreti. Serve raccontare la musica in modo diverso. Serve che non si pensi solo al proprio orto o ci indigni solo quando i numeri non sono dalla nostra parte.
Serve smettere di comunicare come se fossimo tutti in gara costante partendo dai successi prima che dagli insuccessi, o almeno farlo diverso. E serve il coraggio, quando si “attacca”, di prendersela anche con le piattaforme, serve essere anche scomodi, se davvero si vuole aprire un dibattito onesto.
Perché, diciamocelo: le classifiche e i voti sono sempre esistiti. Ma prima non ti seguivano fin dentro al letto. Non erano il primo pensiero al risveglio e l’ultimo prima di dormire. Ma anche la stessa intervista da cui parte tutto questo discorso… non è forse introdotta proprio così, con traguardi, numeri e successi? Eccone due estratti:
“Il 2 maggio il brano ha aperto la gara della stagione e, nonostante non abbia nulla dei classici tormentoni un po’ rétro e cantabili a squarciagola sulla spiaggia, dopo 11 settimane è ancora in classifica…”
“Origami all’alba da colonna sonora di Mare fuori è finita terza su Spotify per numero di stream e in cima a tutti i trend di TikTok.”
E allora? I numeri vanno bene solo quando fanno comodo?
Forse il problema non sono i numeri. È come li usiamo. E soprattutto, quando lo facciamo: se servono solo a escludere o a dimostrare che valiamo più di qualcun altro, allora diventano veleno.











