Gio Evan, L’Affine del Mondo: la scaletta del concerto al Teatro Arcimboldi di Milano.
Ieri sera, domenica 9 novembre, il nuovo tour di Gio Evan – L’Affine del Mondo – ha fatto tappa al Teatro Arcimboldi di Milano, dove il “pensa-autore” ha mescolato poesia, fisica quantistica, musica e comicità per riflettere sull’importanza del linguaggio positivo e dell’ascolto, proponendo un nuovo modo di concepire la vita e le relazioni, che si basa su un verbo coniato per l’occasione: ACCANTARE.
“Crasi di accanto: vicino + cantare: vibrare.
Significa mantenersi vicini attraverso la risonanza, accordarsi nella stessa armonia per ricreare e abitare una nuova frequenza.
Indica il gesto di avvicinare, connettere e unire, tendendo all’insieme e riconoscendo il valore della vibrazione.
Figurato: essere in affinità profonda, praticare la sintonia, vibrando nella stessa presenza.
Penso, dunque risuono“.
GIO EVAN, “L’AFFINE DEL MONDO”
In un teatro gremito, Gio Evan ha portato uno show suddiviso in quattro atti, durante il quale non ha mai rotto la quarta parete, se non sul finale, appena dopo L’Eleganza del Mango, la title track del suo nuovo romanzo musicale, di cui ha presentato live diverse tracce: da Mi Illumina ad Ananda, passando per Salvare L’intorno, Raccogliere i Fiori e Il Richiamo.
Ma la sensazione è che il fulcro dello spettacolo non siano tanto le canzoni quanto le parole, o meglio, il linguaggio… quello positivo, perché “Siamo pieni di negazioni. Abbiamo perso i Sì. Oggi è tutto No. Persino un intento puro lo trasformiamo in una negazione: ‘non voglio che ti succeda qualcosa di brutto’. Insomma, una cosa bellissima detta malissimo”, chiosa Evan, mostrandosi – ancora una volta – particolarmente sensibile al peso delle parole.
Poi, aggiunge: “Alla vita manca il ‘Spero che ti capiti una sorpresa’, ‘Ma vai a fare in cuore’, ‘Ti prendesse un incanto’, ‘Ti cogliesse un abbraccio improvviso’, ‘Voglio che ti succeda tutto il bello'”.
Ecco, “Non serve voler cambiare il mondo. Basta cambiare il modo“, perché “A vivere negando, si smette di vivere”.
DALLE PAROLE AL SILENZIO
Affermare, Negare o… Tacere! Esiste infatti un linguaggio che lascia a casa le parole: il SILENZIO, quello che affina l’ascolto interiore e che ci insegna a non sprecare la magia del verbo.
“È la carenza di silenzio buono che ci porta ad affezionarci a parole prive di nutrienti. Quando non siamo capaci di fare silenzio, finiamo per accontentarci di parole di passaggio, di rispetti occasionali, di ‘ti amo’ ripieni di schiaffi”.
Il silenzio si trasforma così in un esercizio: stare nel momento presente, stare dentro e non fare alcun passo fuori da sé, rifiutando ogni invito all’oltre.
“La gente vuole andare oltre, lasciando lo strazio qua. Ma un dolore non lavorato diventa sempre e solo un’angoscia”, spiega Gio Evan nel terzo atto.
Poi, precisa: “L’oltre, così come l’aldilà, rappresenta tutto ciò che non è qua, davanti ai nostri occhi. L’oltre non è, dunque, un concetto naturale, bensì un’invenzione dell’uomo e, proprio per questo, rappresenta un inganno, una distrazione di massa“.
Torniamo così alle parole e, a questo proposito, ce ne sono alcune che è necessario custodire, ma soprattutto praticare, affinché non si sbadiscano mai, perché “Tutte le parole che non dite con il tempo perdono colore“.
“Si invecchia – dunque – a colpi di inquietudini. Sono gli anni che non viviamo a ingobbirci. Chi non ci mette il cuore, finisce sempre per perderlo”.
Da qui la necessità di ACCANTARE, di essere… l’affine del mondo.
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