1 Maggio 2020
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1 Maggio 2020

TESTO & CONTESTO: BUGO feat. ERMAL META, MI MANCA

Il Prof di latino di All Together Now, ma ormai anche nostro, ha analizzato il testo del nuovo singolo di Bugo cantato in duetto con Ermal Meta

Bugo feat Ermal Meta Mi manca
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Bugo feat Ermal Meta Mi manca. È uscito oggi, 1° maggio, il nuovo singolo estratto da Cristian Bugatti, l’album di Bugo.

Il nostro Prof di latino ha scelto proprio questa canzone per il suo nuovo appuntamento con la rubrica Testo&ConTesto.

BUGO PRIMA DI MI MANCA

Nonostante le mie “buone intenzioni e l’educazione”, quando penso a Bugo non riesco a non pensare al piccolo fallimento che si porta alle spalle.

Non mi riferisco ai termini del suo conflitto con Morgan, perché quello è chiaramente showbiz, che poco interessa a un prof di latino. E, se devo dirla tutta, non credo ne sia uscito male.

Mi riferisco alla disfatta di Caporetto della sua penna, paradossalmente coincisa con la sua emersione dall’anonimato. Bugo esiste, per il grande pubblico, perché Morgan infrange i suoi sogni, a tal punto che l’apologia di Bugo è solo un riflesso della demonizzazione di Morgan.

Della sua canzone cosa resta? Il rovesciamento operato da Morgan, trionfante in meme e parodie che hanno appannato quasi ogni memoria dell’originale.

Tutt’al più dell’opera di Bugo ricordiamo l’incipit, perché ci serve fare il confronto con il testo di partenza se dobbiamo ridere.

Una memoria indiretta e secondaria: niente di peggio per un autore che voglia parlare al mondo non attraverso i talk della D’Urso o della Venier.

È vero, non dobbiamo negare il valore delle querelles. In un mondo ben più alto, la letteratura, le polemiche hanno dato linfa e hanno orientato, talvolta “accelerato”, il gusto del pubblico.

Mi viene in mente Pietro Chiari che, nel Settecento, scrisse La scuola delle vedove per parodiare La vedova scaltra di Goldoni.

La polemica fu portata in tribunale e la censura intervenne bloccando le rappresentazioni di entrambi; ma la guerra del tempo fu evidentemente vinta da Goldoni, il parodiato. Mentre Bugo, ahimè…

Se fosse andata diversamente, ci saremmo accorti di Bugo come autore? Dico “come autore” perché per la sua intonazione sembra ci sia poco da fare, ma non è nelle mie competenze rilevare ciò, né dissertare sul peso che l’intonazione abbia nella definizione di un artista.

Allora ascolto l’album per capire. E vi confesso che, secondo me, una canzone avrebbe potuto fare di meglio, avrebbe persino liberato Bugo dal rischio “brutta figura di ieri sera”.

Forse non avrebbe decretato un successo mediatico analogo. Ma un riconoscimento artistico sì.

BUGO feat ERMAL META, MI MANCA: TESTO

Mi manca, di Cristian Bugatti, Simone Bertolotti e Andrea Bonomo. Dirige l’orchestra Beppe Vessicchio (“perché Sanremo è Sanremo” solo se c’è lui).

Cantano Bugo ed Ermal Meta (che, quanto a popolarità e autorevolezza, mi pare non abbia nulla da invidiare a Morgan).

E parte una canzone sincera, che parla di un’età perduta. Un passato concreto, ricostruito in visioni tangibili, non vagheggiato secondo la retorica della nostalgia.

Ci sembra che Bugo parli a un amico o a un qualsiasi “affetto stabile” (diremmo nell’epoca delle autocertificazioni e dei DPCM), accavallando ricordi senza un ordine, o meglio col disordine che è così caro ai processi della memoria.

“Le porte fatte con le magliette”, “Sergio che non si sposa” sono la “poesia delle piccole cose”, le cose che rendono “storia” la nostra quotidianità: quei fatti minuti solo nostri, che fanno la specificità del nostro esistere.

C’è anche la poesia delle “buone cose di pessimo gusto”, per citare Gozzano:

“Avevo voglia di giocare con te
a chi sputa più lontano,
rompere i vetri delle fabbriche
farci sgridare da qualcuno.”

Al di là della corposità delle immagini, però, è suggestivo questo sguardo indietro non contaminato dal giudizio dei “grandi”.

D’altronde, dice l’autore nello spazio di riflessione che si ritaglia prima di ogni ritornello, “che noia essere grandi!”: lo dice oggi, con la disillusione di un presente in cui tutto è scandito da doveri, da appuntamenti, da formalismi.

L’ordine dei grandi ha distrutto la poesia del disordine, così imprevedibile e così vero.

La strofa di Ermal prosegue la linea dell’evocazione in modo ancor più toccante. Ed è cantata molto bene.

“Avevo voglia di parlare con te,
te lo ricordi il tuo primo pallone?
Finiva sotto le macchine
però col vento sapeva volare.”

È vero, al centro ci sono immagini più da repertorio, ma colte da un’angolatura particolare.

Chi di noi non ricorda il pallone che finiva sotto le macchine? L’autore ce lo riconsegna, precisando però che quello stesso pallone sapeva volare al vento.

E ci offre la metafora del rischio (il pallone sotto la macchina) che è fratello del sogno, a ricordarci di quell’età in cui affidavamo i nostri sogni al vento senza paura di farci male.

Abbiamo smesso di giocare, di sognare, di disordinare, e siamo qui “con il dovere di dare risposte, firmare e non lanciare sassi”.

BUGO feat ERMAL META, MI MANCA: ConTESTO E SCRUTINIO FINALE.

Si è capito che la canzone mi piace. Solo in due luoghi, a mio avviso, il testo rischia di scatenare l’effetto “Peter Pan patologico”:

“Che noia essere grandi!”
“Non mi ricordo più.” (ultimo verso della canzone)

Sono frasi che sembrano dette da uno che non ha voglia di crescere o che è drammaticamente piegato dalla tirannide del tempo.

Invece, l’intera canzone rivela una malinconia più matura. Chi scrive ha selezionato dettagli emblematici del passato e li ha letti con ben altra profondità.

Sa dire “Ah, invece siamo già grandi”, caricando quell’avverbio “già” di una struggente consapevolezza; sa dire “Ah, ti voglio ancora bene”, a dimostrazione che il peso del ricordo è nell’affetto che custodiamo quasi inalterato per le persone che appartengono alla nostra storia.

“Non mi ricordo più” mi pare un po’ una debolezza dopo un’autoanalisi di successo. Ma non sempre i film finiscono come vorremmo…

Ah, il ritornello! Sul piano testuale, poca cosa: il titolo è declinato con un facile gioco anaforico (“mi manca… mi manco… mi manchi… ti manco… ti manchi”). Ma è molto musicale, lascia respiro senza sovraccaricarci con altre immagini.

Una canzone ruffiana in questo momento? No, adatta al momento. Non grida “andrà tutto bene”, né canta la pandemia sotto orride metafore.

Canta una nostalgia, diversa da quella che stiamo vivendo, ma una nostalgia. E ci dice di ri-cordare, cioè di rinnovare nel cuore (in latino cor, cordis) il valore delle cose perdute.