Shablo, la recensione del nuovo album, Manifesto, a cura di Alvise Salerno.
Ho fatto un viaggio nella mia mente, uno di quelli che scavano e ti restano dentro per sempre.
Sono stato in un deserto con un gruppo di persone e, tra una gita e l’altra, a un certo punto ci si è persi in una tempesta di sabbia improvvisa, dove solo i tuareg sanno trovare la giusta via per uscirne senza problemi.
Dopo giorni e giorni perso in questo deserto e senza possibilità di scamparla, all’improvviso, ecco la salvezza: un’oasi che appare dal nulla e che ti fa dire “finalmente qualcosa di buono. Acqua!”.
Inizio a dissetarmi e trovare ristoro, sorrido, sono felice e tutto va bene. So che ancora la strada verso casa, verso la salvezza, è sconosciuta, ma almeno sono riuscito a recuperare le forze per proseguire e per ricominciare la lotta contro il destino avverso.
Ecco, traslate questo viaggio immaginario alla realtà ed ecco che gli elementi iniziano a prendere forma e sostanza: il viaggio è l’ascolto di nuovi brani, il deserto è la musica italiana, i giorni a girovagare senza costrutto sono i venerdì delle nuove uscite, i tuareg sono i discografici e gli artisti senza idee, e l’oasi è il nuovo album di Shablo.
Adesso iniziamo davvero il viaggio, quello reale, attraverso questa (quasi) ora di bella musica e capiamo cosa vuole raccontarci il buon Pablo (vero nome di Shablo) con il suo Manifesto.
shablo: CONOSCERE LA MUSICA E FARLA ESPLODERE NEL CUORE E NELLA MENTE
Il Producer ha alle spalle più di 25 anni di carriera, periodo sufficiente per capire che non stiamo parlando di un improvvisato che spunta fuori dal nulla per mettere insieme due accordi e quattro cantanti che gli diano uno status.
Shablo è lo status e appare chiaro, ascoltando il suo nuovo album, che l’intenzione fosse quella di ribadirlo e con la giusta dose di “silente cazzimma”.
Sanremo, lo scorso febbraio, è stato l’inizio di un percorso che si è trasformato e ha trovato la propria evoluzione giorno dopo giorno senza proclami, senza calcare la mano. Ha lasciato che le cose accadessero e ha fatto bene, arrivando all’independence day preparato e pronto a tutto.
Intenzione chiara: facciamo capire come si fa musica nel 2025 unendo passato, presente e futuro nel modo migliore possibile e senza fronzoli, senza sovrastrutture e senza tutto quel mondo plasticoso che regna sovrano in Italia.
Da qui nascono 17 canzoni che sono il vero e proprio manifesto di un artista a 360° che si dona alla musica e che nella musica affonda il suo Credo.
R&B, rap, hip-hop, soul, jazz, pop, reggaeton e miliardi di altre cose si danno il cambio come se stessimo assistendo a una 4×100 alle Olimpiadi, con il suo capitano, Shablo per l’appunto, che riveste i panni di Marcell Jacobs e conduce i suoi alla medaglia d’oro.
17 canzoni dove spicca la verità, l’esigenza, l’urgenza di buttare fuori idee e concetti in musica che, poi, vengono esaltati da alcune figure chiave italiane dei generi di cui sopra e tutti rendono questo album un’esplosione di gioia per le orecchie, il cuore e la mente.
JOSHUA, MIMÌ, IL “PAPÀ” TORMENTO, LO “ZIO” GUÈ. UNA SQUADRA DI TOP PLAYER in “manifesto”
Shablo ha avuto il coraggio e la forza di puntare su nomi che, per il grande pubblico, non significano quasi nulla come Joshua e Mimì, dal futuro più che assicurato, unendoli a delle colonne portanti del rap come Tormento e Guè.
A questi nomi, poi, sono stati affiancati altri big come Inoki e Neffa, alcune certezze inossidabili come Irama, Rkomi, Joan Thiele, Nayt, Ernia e Gaia, e prospetti già di valore come Ele A e Roy Woods.
C’è tutto ciò che serve per essere felici dall’inizio alla fine, per non staccare mai la spina, per mantenere alta la soglia dell’attenzione. Ed è bello vedere come, a conti fatti, tutti questi elementi artistici riescano ad amalgamarsi così bene tra loro.
Joshua è un fenomeno che è esploso proprio in occasione del Festival e proprio grazie a Shablo, è una specie di suo “figliol prodigo” con una voce soul perfetta per la black music, che viene sfruttata benissimo per raccontare questo universo creato in Manifesto in praticamente tutti i brani.
È lui la voce guida sempre presente, tranne nella canzone di Gaia e Roy Woods, a cui fa seguito quella di un altro talento purissimo, un diamante che abbiamo scoperto e visto crescere a
X-Factor: Mimì.
Loro due guidano gli altri in termini di numero di brani ma, attenzione, perché entrambi vengono guidati da “papà” Tormento, elemento fondamentale per creare la giusta vibe e la giusta narrazione.
Guè appare e scompare ma, anche lui, è un elemento chiave (tra l’altro in grande spolvero qui) mentre tutti gli altri fanno delle comparsate che, però, lasciano il segno.
Pensate a Irama in Mille Problemi o a Nayt e Joan Thiele nella bellissima e quasi bossa nova cantautorale Che Storia Sei?, tutti brani che con altre voci non avrebbero reso per come hanno fatto alla fine.
UN MANIFESTO DI ALTO LIVELLO
Shablo ha davvero creato un manifesto, un nuovo modo di vedere il venerdì, e ha alzato l’asticella di un mondo discografico ai limiti del rigor mortis.