2 Ottobre 2025
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2 Ottobre 2025

Da Elisa a Fiorella Mannoia, passando per Mengoni e Ghali: le voci italiane che si schierano per la Palestina

Sempre più cantanti scelgono di esporsi: appelli, piazze e concerti per non restare in silenzio.

Elisa in lacrime e Ambra Angiolini in piazza: i cantanti italiani che si schierano per Gaza insieme a Mengoni, Ghali e Fiorella Mannoia
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Cantanti italiani per Gaza, ecco cosa sta succedendo

C’è un momento in cui la musica smette di bastare. Non bastano i bis, i sold out, la perfezione delle note. Arriva un punto in cui la voce esce incrinata, non più intonata ma spezzata, e diventa supplica.

È quello che è accaduto a Elisa. In un video registrato con gli occhi rossi e la voce rotta, ha rivolto un appello diretto al governo italiano:

Adesso che hanno bloccato la Flotilla, portate voi gli aiuti, perché stanno morendo.

Non un brano inedito, non un proclama astratto: un’invocazione disperata che ha fatto il giro delle redazioni e dei social, riportando Gaza al centro del discorso pubblico.

Il video è diventato subito virale, proprio perché arrivava senza filtri: una grande artista che mette da parte l’immagine e l’eleganza che di solito l’accompagnano, per mostrarsi fragile e arrabbiata.

È un gesto che spiazza, perché da Elisa ci si aspetta la melodia, non la richiesta politica.

Forse è proprio qui la forza: quando un’artista riconosciuta da tutti si mette a piangere davanti a un telefono. Si abbassano le difese e il messaggio arriva dritto.

cantanti italiani per gaza – chi sono

Non sono episodi isolati. Da mesi, in Italia, diversi artisti scelgono di alzare la voce su Gaza. Marco Mengoni a Napoli si è avvolto nella bandiera palestinese, parlando al pubblico di “una roba orribile” che non si può accettare in silenzio. Fiorella Mannoia, con una kefiah al collo, ha definito la situazione un eccidio di civili inermi, sottolineando come la comunità internazionale continui a voltarsi dall’altra parte. Ghali, già a Sanremo 2024, aveva scandito “Stop the genocide”, provocando polemiche e attacchi, e ancora oggi denuncia di essere stato escluso da certi contesti per le sue prese di posizione.

Gesti simbolici che diventano dibattito: i Patagarri al Primo Maggio che urlano Palestina libera in mezzo a Hava Nagila, scatenando reazioni furiose e discussioni accese. Gaia che solleva una bandiera dal pubblico dicendo siamo tutti interconnessi, Elodie che fa la stessa cosa a San Siro, mostrando che anche i concerti pop possono trasformarsi in spazi politici. Les Votives che suonano con la bandiera della Palestina dietro la chitarra. Carmen Consoli che in conferenza stampa per il suo ultimo disco parla chiaramente della situazione attuale e si indigna.

Accanto ai singoli, ci sono i movimenti collettivi. A Firenze, Piero Pelù ha messo in piedi S.O.S. Palestina!, concerto gratuito con Afterhours, Tre Allegri Ragazzi Morti, Emma Nolde, Bandabardò e molti altri, devolvendo tutto a Medici Senza Frontiere. Una serata che ha messo insieme generazioni diverse di musicisti con un unico obiettivo: trasformare la musica in aiuto concreto. Allo stesso tempo, nascono reti culturali come Voci per la Palestina, guidate da artiste e musiciste che non vogliono lasciar calare il silenzio sulla strage di civili.

Ambra Angiolini ha scelto un’altra forma di esposizione: la piazza. A Milano è scesa in corteo insieme alla figlia Jolanda, tra cori e cartelli, dichiarando:

Non basta commentare dal divano.

Una frase che è diventata subito titolo di giornale, perché dice l’essenziale: la solidarietà non può restare confinata a un post indignato, serve il corpo, serve esserci fisicamente. Ambra lo ha fatto sapendo di esporsi non solo alla folla ma anche al linciaggio social, che puntualmente è arrivato. Ma la sua risposta è stata il gesto stesso: camminare, insieme a sua figlia, per insegnarle che la giustizia si pratica con i piedi, non con i like.

cantanti italiani per gaza – riflessioni

Certo, queste prese di posizione non sono indolori. Esporsi su Gaza significa attirare accuse di ingenuità, di ipocrisia, di “falso buonismo”. Significa dover reggere insulti sui social e il rischio di vedere il proprio gesto ridotto a propaganda. Ma resta il fatto che questi artisti scelgono comunque di parlare, di esporsi, di prestare il proprio volto e la propria voce a un’urgenza che riguarda vite umane.

Forse non conta tanto se un video è girato col cellulare e pieno di lacrime, se un cantante si limita a sventolare una bandiera o se si cammina in corteo.

Conta che tutte queste voci, insieme, stiano dicendo la stessa cosa. Non possiamo restare zitti.

Non possiamo lasciare che Gaza resti solo un titolo di cronaca.

In fondo, la musica serve anche a questo: ricordarci che, quando il dolore sembra lontano, c’è sempre qualcuno pronto a riportarcelo vicino.