La Top 50 Viral Italia di Spotify fotografa un dato che, piaccia o no, dice molto sullo stato della musica virale nel nostro Paese: sesso e titoli espliciti come scorciatoia per attirare attenzione. Il tutto condito, in alcuni casi, da “artisti” inesistenti, frutto dell’AI. E vogliamo davvero dire che non c’è un problema?
Non parliamo di sensualità o di erotismo raffinato, ma di pornografia linguistica spinta, ammiccante e studiata per far parlare. E il punto non è tanto che esista, quanto che funzioni. Eccome se funziona.
La Top 50 Viral di Spotify, tra Hachiko e Cantoscena
Partiamo da un nome presente in ben due posizioni della classifica: Hachiko. L’“artista” usa come immagine profilo Spotify un cartoon in stile manga giapponese che ritrae una provocante ragazza-unicorno. Nella bio si definisce “rapper, raver e tro*a”. Qualcuno dice che esiste, altri, tra cui noi, che sia frutto dell’intelligenza artificiale.
Nel suo repertorio troviamo titoli come Sega a due mani, Pompe col cu*o (anche in un’imperdibile versione acustica) e Cocaina nella Pussy. Le ultime due, per la precisione, occupano la quinta e la nona posizione della Top 50 Viral Italia. Tutti i brani sono pubblicati da La Crème Records, etichetta fondata dal rapper Maruego.
Curiosità: alcuni pezzi sono firmati da una certa “Elena Ferrante”, pseudonimo usato qui non per l’autrice de L’Amica geniale, ma come nome generico per mantenere l’anonimato. Un po’ come chiamarsi Mario Rossi.
Al secondo posto troviamo un artista reale e non un prodotto dell’AI: TonyPytony. Il brano in questione è Culo, tratto da un disco che include titoli come Mi piacciono le ne*e. Sul web è descritto come “artista concettuale italiano” e attore-ballerino, gender fluid, ispirato agli anni ’60, alla musica elettronica e al fetish. Definisce la propria musica come “concettualismo” oltre i generi tradizionali. Tradotto: provocazione continua in forma di canzone.
Almeno in questo caso parliamo di un artista che esiste, che canta, e anche bene, si esibisce e ha un percorso, in un filone che in passato – vedi Leone Di Lernia – aveva comunque un senso di esistere.
In vetta, invece, troviamo Aprimi il cu*o di Cantoscena/Vera Luna, già analizzati in un approfondimento di Alvise Salerno qui su All Music Italia. Tra i loro titoli anche Il sapore del tuo seme.
Terzo posto, unica parentesi “pulita” del podio, per Halo di Samuray Jay.
Guardando la Top 10 il quadro è chiaro: tre dei primi cinque brani, e cinque su dieci, hanno titoli espliciti a sfondo sessuale, spesso senza alcun reale valore musicale o autoriale. Un fenomeno che, visto dall’estero, rischia di diventare una barzelletta nazionale. Immaginate un turista che, incuriosito, apre Spotify per capire “cosa ascoltano gli italiani” e si trova davanti Cocaina nella Pussy.

Il passato nella musica italiana a luci rosse
Va detto che provocazione e testi espliciti nella musica italiana non sono certo un’invenzione di oggi. Negli anni ’70 e ’80 gruppi come gli Squallor costruirono un intero repertorio su doppi sensi, linguaggio sboccato e satira di costume, spingendosi ben oltre i limiti del politicamente corretto. Più di recente, Immanuel Casto ha portato avanti la stessa logica con intelligenza, usando la volgarità come strumento di provocazione e spesso per far riflettere su temi sociali nascosti sotto il tappeto.
La differenza è che, allora, dietro parolacce e immagini spinte c’era un’operazione dichiaratamente ironica e parodistica, supportata da scrittura musicale e produzione curate. Oggi, invece, molte di queste “hit virali” sembrano ridursi a titoli provocatori, pensati solo per catturare stream, senza alcuna struttura artistica e, in molti casi, fatti dall’intelligenza artificiale che se continua di sto passo, andrà chiamata deficienza artificiale.
La vera riflessione – non che ce ne fosse bisogno di un’ulteriore prova, visto quanto accade ogni giorno in Italia – è che basta un po’ di volgarità e qualche riferimento al sesso per catalizzare l’attenzione dell’ascoltatore. Spesso, di quello più giovane.











