L’evoluzione del caso Giuliana Florio, del suo singolo Gay e dell’uso dell’AI nella musica. Un editoriale di Massimiliano Longo.
Da qualche settimana il “Giuliana Florio-gate” domina i social. Tra clip virali, endorsement entusiasti e critiche feroci, il dibattito non riguarda solo una creator diventata “artista”: tocca temi più profondi — etica, valore del lavoro, trasparenza — mentre l’intelligenza artificiale entra sempre più nell’industria musicale.
In questo approfondimento voglio provare a rimettere i pezzi in ordine: chi è Giuliana Florio, come usa l’AI nei brani, cosa dicono i numeri rispetto all’hype, come stanno reagendo, in modo preoccupante vi anticipo, le persone e perché la questione riguarda l’intera filiera musicale.
Giuliana Florio: riassunto delle puntate precedenti
Facciamo prima un sunto andando a riprendere quanto detto dal nostro Alvise Salerno in questo articolo nella sua rubrica, I puntini sulle i.
Giuliana Florio è la giovane campana trasferitasi ad Amsterdam per studiare sociologia che su TikTok ha portato, per prima in Italia, la forma “live” degli NPC (Non Playable Character). Le sue dirette hanno aperto una stagione di cloni e parodie. Poi la sparizione: “troppe offese”, dirà lei, e la difficoltà di reggere l’ondata.
…e chi è oggi: Grose
A quasi due anni di distanza la ritroviamo con il nome d’arte Grose: obiettivo dichiarato, usare la notorietà per spingere la musica. Fin qui nulla di nuovo: i social come trampolino, lo fanno in tanti.
La miccia scoppia quando la community becca il fatto che i suoi brani sono realizzati con l’ausilio dell’AI — dalla scrittura alla produzione fino al trattamento della voce. Piattaforme come Suno (non sappiamo se sia quella effettivamente usata) possono fare tutto: beat, testi, correzione d’intonazione, timbriche artificiali. Dopo giorni di speculazioni, è la stessa Giuliana a confermare l’uso dell’AI. Quanto pesi l’umano e quanto la macchina? Al momento non è chiaro.
All’ascolto, diversi segnali (voce plasticosa, timing non naturale, mix e mastering irregolari) suggeriscono una forte componente generativa. È musica “vera”? È musica “falsa”? Domanda sbagliata: la domanda giusta è quanto è trasparente il processo e che impatto ha sul lavoro di chi la musica la fa per mestiere.
E ora veniamo ad oggi.
Giuliana Florio lancia “Gay” anche in spagnolo
Nonostante il clamore, il boom al momento riguarda quasi esclusivamente TikTok. Su Spotify il brano, uscito circa un mese e mezzo fa, conta meno di 250.000 stream: numeri più che buoni per un’esordiente ma nessuna vera esplosione. Eppure Grose prosegue: ha realizzato la versione in spagnolo di Gay, promossa con un video in costume in spiaggia che ha raccolto circa 90.000 views e 4.500 like.
Qui il punto si sposta. Per una volta non ci stupiamo di commenti social che insultano, criticano o deridono. Ci stupiamo per l’opposto: commenti entusiasti che elogiano qualcosa che, a nostro avviso, rappresenta un campanello d’allarme per la musica e i sogni di tanti giovani talenti.
Perché, anche ammesso che testo e musica siano scritti da un essere umano (come afferma la Florio), la voce è di un’AI, la produzione è di un’AI. E questo, con buona pace di chi studia per anni produzione musicale, apre a una progressiva erosione di competenze e professioni.
Tra i commenti: c’è chi dice che “in spagnolo spacca ancora di più”, chi vorrebbe il pezzo in un film di Ozpetek, chi la paragona per stile a Max Gazzè (?!?) e chi dichiara che “farà schiattare d’invidia tutti”. Quando qualcuno le chiede da chi sia stata prodotta, lei risponde: “Un esperto di musica non me lo posso permettere, proprio per questo mi arrangio come posso”.
Ecco, partiamo dal fatto che è difficile credere che una delle tiktoker più seguite degli ultimi anni, capace di ricevere donazioni dai Follower come NPC, non possa permettersi un produttore, anche considerando che le nostre fonti ci informano di proposte discografiche ricevute — e rifiutate — di lavorare con professionisti spesati dalla discografia. Forse il rifiuto nasce dalla convinzione che sia più semplice e conveniente investire in un software, bypassando il lavoro di altri. Un ragionamento simile a quello dei tempi della pirateria: perché pagare quando puoi ottenere (quasi) tutto gratis e con un clic?
Le parole di chi la musica la fa davvero
Tutto questo fa pensare. E non è nostalgia dei “vecchi tempi” o rifiuto delle nuove tecnologie. Fa pensare per i messaggi che passano e che portano in una direzione in cui studio, talento, gavetta e professionalità non hanno più il loro giusto valore.
Vengono in mente le parole di chi con questi elementi ha costruito una carriera. Ecco due esempi, partiamo da Niccolò Fabi:
“Oggi chi produce un disco e chi lo ascolta sono quasi sempre sottomessi a regole e standard comunicativi. […] Avrò detto centomila no. I no definiscono la mia vita molto più dei sì. Ho detto di no alle convention bancarie, agli spot di ogni tipo, fino al talent come giudice o alle collaborazioni con artisti e produttori famosi che avrebbero potuto aumentare il numero dei miei stream su Spotify…”
Dignità artistica e rispetto per la musica e per sé stessi. E poi ancora le parole di Carmen Consoli:
“Ci dicono che meno tempo impieghiamo per fare le cose e meglio è. Non è vero. […] A mio figlio dico che c’è il cibo che nutre il corpo e il cibo che ti nutre nel cervello. […] Ma con che credibilità diciamo ai nostri figli che lo studio è importante, se poi vedono che un influencer prende 50.000 al mese senza fare niente? Oggi se approfondisci sei noioso, la gente non ti segue.”
Queste frasi sono dichiarazioni che ho ripreso dalla pagina Instagram di Paolo Talanca, autore del libro Musica e parole. Breve storia della canzone d’autore in Italia. Un libro che vi consiglio di leggere. Certo, richiede più impegno che guardare un video su TikTok — e proprio qui sta il punto: il tempo che dedichiamo a studiare, imparare, creare, è ciò che ci renderà fieri dei nostri successi. E felici. Senza questo, restano solo soldi: indispensabili per vivere, ma mai abbastanza per essere felici e fieri di sé stessi.
Niente scorciatoie, se canti, prima o poi dovrai cantare davvero
In attesa di capire se e come l’industria discografica saprà difendersi, aiutata dalla legge, ricordiamoci di rispettare l’arte con semplici concetti di base: se un brano usa AI per scrittura/voce/produzione, va dichiarato chiaramente (e magari le piattaforme dovrebbero prevedere un flag visibile “AI-generated”).
Ricordiamo che l’AI accelera il lavoro, non sostituisce: arrangiamento, sound design e interpretazione richiedono competenze e se il budget è un problema, esistono scuole, tutor, giovani producer: investire poco ma bene è meglio di arrangiarsi male.
E infine ricordiamoci: se vuoi fare il/la cantante, prima o poi dovrai cantare.











