26 Settembre 2015
di Scrittore
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26 Settembre 2015

L’ULTIMO TANGO – VACCA – RECENSIONE

Ecco la recensione di Federico Traversa di "L'Ultimo tango, il nuovo album di rap nudo e crudo di Vacca

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Se parli di quello che vedi e non di quel che fai il mio rispetto non l’avrai mai”.
In questo inciso, che vibra a metà della intro, c’è tutta l’essenza di Alessandro Vacca e del suo ultimo album LUT, acronimo di L’ultimo Tango.
Il rapper cagliaritano ormai da anni trapiantato a Kingston sceglie di stupire ancora i propri fan e nell’ultimo suo lavoro interamente cantato in italiano (già perché dal prossimo disco le sue rime saranno solo in inglese o più probabilmente in patois) torna a strizzare l’occhio a quel rap duro e puro che non fa sconti e turba i sensi senza cercare a tutti i costi consensi.

Vi aspettavate dancehall, reggae o melodie pop in levare? Avete sbagliato indirizzo. Alessandro è così, istintivo senza se e senza ma, e il suo istinto a sto giro l’ha portato altrove, ad abbracciare un groove preciso, con rime che si snodano come serpenti a disegnare cubi di cemento, disagio sociale, povertà e quella vita di strada che nelle cartoline dell’assolata Giamaica che spediscono i turisti ricchi e annoiati non vi è mai traccia.

La Intro, ABC e la title track sono i primi tre schiaffoni di un disco ruvido e pesante come l’afa caraibica di una notte senza vento.
Anche quando si balla, come ne Il Ragazzo coi dread, l’atmosfera martellante non molla mai, e più che al ballo degli universitari sembra di trovarsi a un party di rude boys affamati che si avvinghiano ai sederi sodi di sudate gyal.
La sorpresina arriva alla quinta traccia, Manchi solo tu, inno punk dal pregevole sapore antifascista, un brano arioso che profuma di curve e fumogeni, in cui Vacca ospita l’ugola di Enrico dei veronesi Los Fastidios.
La pausa good vibes termina qui, per ora, e con Noi vs Tutti si torna a macinare rime in quattro quarti, velenose e ruvide nel raccontare quel senso di amicizia e fratellanza che è fra i valori portanti del mc con i dread.
Con Trandsetter arriva il feat dell’amico Jake La Furia outta Club Dogo. I due si conoscono da ragazzini e l’empatia sviluppata negli anni emerge in tutta la su freschezza.
Lo sfogo di Fine Di Un Sogno, struggente nel refrain, è una sorta di psicoanalisi nella mente del nostro, che si spoglia per un attimo dell’armatura da rude boy e decide di servire su un piatto spoglio i propri turbamenti e le proprie problematiche esistenziali.
Il talentuoso Jamil, figlioccio di Vacca e fra i rapper più promettenti della scena italica, si materializza con la successiva Ancora Qui. I due raccontano in rima la storia del loro incontro, che nasce in strada e diventa collaborazione, amicizia, fratellanza, una sorta di patto di sangue all’urlo we against the world.
Mona Lisa è il modo con cui il Don omaggia l’amore per sua moglie Sandi, bella ragazza giamaicana che l’ha reso padre e accompagnato in un drastico cambio di vita. Un passaggio personale per raccontare come l’amore possa sdraiarsi su una mente momentaneamente offuscata e aiutarla a trovare chiarezza.
Lead neva follow è ancora rap, semplicemente e onestamente rap, un rap auto celebrativo, quadrato, massiccio, di quelli da pugno alzato e teste che si muovono a tempo in un club dell’hinterland di una qualsiasi metropoli poco tranquilla.
La successiva Revolution è, a parere di chi scrive, il pezzo migliore del disco. Ale prende carta e penna e tratteggia una fotografia condivisibile della nostra società malata e di tutte le sue contraddizioni. Una rivoluzione che, arrivati a questo punto, ci auspichiamo tutti.
La ballata Sangue del mio sangue, dedicata alla figlia Zuri è la promessa di un padre sui generis alla sua bambina, una promessa di amore e consapevolezza che commuove ma non smiela.
Si torna a picchiare duro con Jordan, anatema contro l’omologazione che ormai ha ucciso e seppellito il 90% della scena rap italiana e Aka, dove il nostro mostra ai novizi come si fa veramente il rap.

Chiude l’album Trust No Name, che vede alle produzioni l’amico Big Fish. E qui le atmosfere dancehall arrivano veramente, Vacca si veste da Alborosie, canta in patois, e regala un assaggio di quello che sarà appena l’orchestra terminerà di suonare l’ultimo tango.
Piano piano l’onda travolge il passato, un lenzuolo di sale si stende sul presente, aguzzi picchi di scogli frastagliati emergono dall’acque e puntano in alto, verso il futuro. Dalle ceneri dell’ultimo tango, lunghi dread bagnati abbracciano la verde isola giamaicana e poi si aggrovigliano intorno a un mic.

Niente da dire, the rockets are back in town.

BRANO MIGLIORE: Revolution
VOTO: 7,5/10