2 Novembre 2015
di Scrittore
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2 Novembre 2015

MADE IN ITALY d’importazione? Meglio i dread di ALBOROSIE che IL VOLO dei tenorini

La musica italiana di successo all'estero è solo quella di Pausini, Ramazzotti, Ferro e Bocelli? Federico Traversa ci fa conoscere nuove realtà importanti

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Sento sempre dire che la musica italiana nel mondo è conosciuta per il bel canto di Laura Pausini, le smorfie nasali di Eros Ramazzotti, l’ugola d’oro di Andrea Boccelli, ultimamente i tre cazzo di tenorini, che pare abbiano strappato autentiche standing ovation a Nuova York con l’ennesima cover di O’Sole Mio, anche se poi pare abbiano deciso di imbrattare di escrementi la statua della libertà… Dai, scherzo.

Qualcuno si azzarda a ricordare anche picciotto Sinatra, che quando ci conviene torna in un lampo ad essere italiano purosangue. Ah, e poi come dimenticare gli immancabili servizi Rai sui lucrosi tour pro Putin dei vari Albano, Cutugno e compagnia cantante nella madre Russia? Manca solo la calamita da frigo a forma di mandolino e la presa per il culo internazionale può dirsi conclusa. Finito.

In ogni sito, programma tv, o rivista che sia, sento ripetere solo ed esclusivamente questi nomi come esempio del made in italy che si esalta in note d’esportazione. Ancora una volta l’informazione seria dorme il suo sonno profondo fatto di notizie imprecise che si alimentano da sole anno dopo anno senza alcuna verifica dei fatti. Per esempio non si dice mai che ci sono jazzisti italiani, uno su tutti Stefano Bollani, che all’estero godono di grande considerazione e riempiono i club di mezzo mondo. Cioè, per dire, Bollani nel 2010 ha ricevuto la laurea honoris causa dal Berklee College of Music di Boston.
Ma lasciamo stare il jazz, è musica troppo colta per i servizi della televisione generalista.

Passiamo al metal. Nessun italiano, giusto? Sbagliato. I Lacuna Coil della bella Cristina Scabbia sono una delle band più apprezzate e seguite nel circuito internazionale dedicato al genere. Da anni girano il mondo in tour e sono in cartellone nei principali festival rock del mondo a ogni alito di vento.
Pure in ambito folk l’Italia ha saputo produrre esempi importanti, su tutti il virtuoso chitarrista Beppe Gambetta, che da vent’anni gira con successo i più importanti festival a tema americani. Parliamo di un italiano che ha saputo farsi accettare ed amare negli States suonando country e bluegrass, mica pizza e fichi. Un po’ come se un tedesco in tuta da ginnastica e bomber lucido venisse a Scampia a dettare legge. Quando durerebbe la versione crucca di Gomorren?
Anche in ambito disco qualche italiano viaggia veloce. Benny Benassi è tra i più richiesti e acclamati dj al mondo, credo sia stato l’unico italiano invitato a partecipare al Coachella festival. E lo so, vi destabilizza di brutto venire a sapere che la terra promessa non vale solo per Eros.

Non vi ho ancora convinti? Ok passiamo al caso più eclatante fra quelli di mia conoscenza e ad una delle più belle realtà che l’Italia ha esportato nel mondo negli ultimi anni, altro che Marco se n’è andato e non ritorna più.
Sto parlando di Alberto D’Ascola, nome d’arte Alborosie, che ormai da più di dieci anni vive in Giamaica e si è affermato come una delle reggae star più conosciute, apprezzate e seguite del mondo. Già, amici, c’è un italiano fra gli artisti di punta della mistica musica che fece grande Bob Marley.

Alberto, bergamasco d’origine siciliana, da ragazzino militava in una band di discreto successo, i Reggae National Tickets. Era innamorato del reggae e della cultura giamaicana e sentiva che il nostro paese non gli permetteva di vivere a pieno queste passioni. Allora ha mollato tutto, famiglia, paese e band, e si è trasferito con pochi spiccioli a Kingston, cercando di dare seguito alla propria visione in levare. Ha studiato, si è sbattuto in giro, ha affinato il proprio suono e imparato la lingua del luogo, iniziando a cantare in patwa giamaicano. Si è specializzato come producer, ha aperto un proprio studio, vinto con fatica la ritrosia dei nativi che potevano considerarlo un intruso. Alla fine ha saputo farsi apprezzare e si è affermato come credibile esponente della scena. E ha sfondato, Jah Rastafari se ha sfondato, con un boom che ha fatto rumore. Le sue prime hit da Kingston Town a Herbalist hanno travalicato l’isola caraibica e iniziato a passare nelle reggae radio di tutto il globo. Sono arrivati dischi di successo, date in mezzo mondo, collaborazioni importanti, una moglie giamaicana e una figlia a consolidare il legame con una nuova realtà che ora può chiamare casa. L’esaudirsi di un sogno, insomma. Anzi no, di una visione.

Questa è l’Italia d’esportazione che mi piace: Alberto, Bollani, Gambetta, Benassi, i Lacuna. Migranti veri, che hanno saputo eccellere in territori in cui il nostro paese, agli occhi del mondo, non dovrebbe primeggiare. E mi fa incazzare da morire che certi addetti ai lavori si dimentichino personaggi di tale spessore. Lo trovo ingiusto, lo trovo cattivo giornalismo. No, non malafede, quello non lo credo. Ma ignoranza e pressappochismo sì, a fiumi.
E mi scuso con la valanga di altri artisti italiani che si stanno facendo valere all’estero e che anche io, per ignoranza, non ho citato in questo pezzo. Rimedierò, promesso.
Alla prossima.
F.