16 Ottobre 2016
di Caporedattore
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16 Ottobre 2016

FRANCESCO RENGA: Scriverò il tuo nome Live nei Palazzetti (INTERVISTA e SCALETTA)

È partito ufficialmente da Milano il tour di Francesco Renga. Ecco la scaletta e l'incontro/intervista avvenuto dopo il live.

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Ieri sera al Forum di Assago (Milano), si è tenuta la prima tappa del tour nei palazzetti di Francesco Renga. Il primo tour pensato esclusivamente per questo tipo di location dell’artista bresciano.

Un Francesco in grande forma che si è dato al suo pubblico per quasi due ore e mezza proponendo un repertorio di ben 40 canzoni, tra successi del passato (da Senza Vento dei Timoria) e i brani del nuovo album Scriverò il tuo nome.

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Uno spettacolo dal ritmo incalzante, con giochi di luci ad accompagnare la performance di Renga forse meno impeccabile di quello a cui ci ha abituati, ma senz’altro, probabilmente anche per questo, ancora più calda e che, nonostante la durata dello show, scivola veloce. Scelta coraggiosa quella di attraversare la gremita platea (il Forum era sold out con quasi 10mila spettatori) per raggiungere il piccolo palco per il set acustico allestito davanti al mixer di sala che, nella sua semplicità, voleva rievocare un luogo grezzo come una cantina dove nascono le canzoni.

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Tra gli ospiti nella tribuna VIP Annalisa, Ron, Ermal Meta, Francesco Gabbani e Tony Maiello, oltre agli autori dei brani del repertorio di Renga.

Questa la scaletta dello Scriverò il tuo nome Live nei Palasport.

Scriverò il tuo nome
I nostri giorni
A un isolato da te
Il bene
Ci sarai
Regina Triste
Vivendo adesso
Immune
Spiccare il volo
L’amore altrove
13 maggio
Il mio giorno più bello del mondo

SET ACUSTICO:
Cambio direzione
Senza Vento
La sorpresa
Stavo seduto
Venerdì
Dove il mondo non c’è più
Raccontami
L’ultima poesia
Per farti tornare

Angelo
Così diversa
Cancellarti per sempre
Di sogni e illusioni
La tua bellezza
Affogo Baby
Rimani così
Dovrebbe essere così
Sto già bene
Meravigliosa
Migliore

BIS:
Sulla pelle
Era una vita che ti stavo aspettando
Guardami amore
L’amore sa

Alla fine del concerto, noi di All Music Italia, insieme ad altri blogger e giornalisti, abbiamo incontrato Francesco Renga per un’intervista.

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Siamo partiti con i migliori presupposti e abbiamo lavorato molto tutti, perché quando succedono le cose, non è solo merito dell’artista, ma c’è sempre dietro un team che lavora: dalla casa discografia, i miei manager all’ufficio stampa fino ai musicisti.
Questo per me era il momento della gratificazione, come è sempre il live per me.
Dal momento in cui riesci ad avere una percezione fisica e reale di quello che hai fatto prima pensando e immaginando un disco, un progetto, poi realizzandolo con i tuoi produttori, i tuoi musicisti, il live è sempre la prova del nove.
Questo live era stato pensato per questi numeri e per me era una novità. Avevo già fatto dei palazzetti anni fa, ma la vera novità è stata avere una nuova consapevolezza.
Sono arrivato a questo punto nel momento giusto, le cose si devono guadagnare.
Sono molto contento. Oltre alle figure che ho citato, non ho menzionato forse quella più importante: il pubblico. Io credo ch,e quando si raggiungono questi risultati, il motore di tutto sia la gente.
Questo è un momento difficile in generale.
Penso che quando qualcuno decida di venire a vedere un mio concerto in mezzo a tantissime proposte, fa dei sacrifici anche economici per esserci e credo che restituire la sensazione di non essere dei semplici invitati, ma dei protagonisti di questa festa, sia l’obiettivo principale.
Volevo riuscire a legare due mondi: quello più intimo e discreto del live nei teatri con la vicinanza fisica con il pubblico che riesce a guardarmi negli occhi e toccarmi con una situazione come quella di un palazzetto, così allestito. Una vera cosa rivoluzionaria è essere riusciti a farlo.
Devo dire che era una scommessa per tutti ed io ci credevo perché sapevo che il pubblico avrebbe apprezzato e capito e non ci sono stati disastri. Il mio è un pubblico educato, sono fortunato. È un pubblico che è cresciuto con me, ha capito perfettamente quale era il limite.
Sono molto contento e fiducioso.
Sono contento che abbiate potuto guardare quello che ci meritiamo tutti: uno spettacolo bello, divertimento, un bel modo per stare insieme e fare un percorso in qualcosa che non è solo una serie di canzoni, ma anche un’unione di canzoni, una cerimonia in cui ognuno prende e dà, riceve e dona e, mettendo al centro l’amore, spero di aver fatto qualcosa di buono per tutti.
L’amore per come l’intendo io è la cosa più importante, non sono solo canzonette che raccontano l’idillio di una coppia, i momenti piacevoli di una coppia, ma l’amore a 360° gradi che voglio esplorare e declinare in tutti suoi momenti, i suoi percorsi. Credo che sia rivoluzionario. Sono molto contento

A proposito di letteratura…

Ho citato Raymond Carver? È uno dei miei scrittori preferiti. Lo reputo lo scrittore della banalità, non racconta niente. Tu leggi un suo racconto ed è una situazione assolutamente banale, quasi immotivata ma riesce con poche parole, in modo schietto e preciso a prenderti lo stomaco, a rivoltarti l’anima e a darti quella risposta e quell’illusione, suggestione che tu sai d’avere ma che non sei mai riuscito a ritrovare in un racconto. Quelle poche parole di Carver hai trovato quello che volevi.

E che cos’è che volevi?

Essere amato, è il centro di tutto il racconto che ho fatto. Alla fine siamo qui tutti per quel motivo lì. Siamo figli, se siamo fortunati, di un atto d’amore e ricerchiamo quest’amore e vogliamo essere amati prima che amare.

Carver è un minimalista e tu hai fatto 36 canzoni, hai ringraziato Milano 34 volte, avevi più punti di luce dei Pink Floyd. Uno spettacolo pop di uno che sa cantare benissimo e non ha bisogno di tutto questo…

Ti dico la verità. Il passaggio dai teatri al palazzetto per me è stato difficile anche per questo motivo. Credo che sia impensabile oggi, con quello che il pubblico è abituato a vedere, non dare delle suggestioni visive. Lo spettacolo è equilibrato anche da questo punto di vista: ci sono solo il live e dei contributi, non c’è moltissimo, volevo che fosse una cosa delicata, volevo che desse suggestioni di un certo tipo in base agli input a cui, soprattutto i più giovani, sono abituati ad avere quotidianamente, però volevo anche che fosse elegante e discreta.
C’è una simmetria quasi maniacale in quello che succede sul palco.
Una cosa di questo tipo a me mette tranquillità e non mi dà l’idea di una cosa sopra le righe, di ridondanza. Certo, non è uno spettacolo teatrale con le luci bianche e dei tappeti, quello l’ho fatto in un altro posto infatti.
Volevo legare le due cose, anche la sensazione che stridano le due cose è voluta. Camminare in mezzo alla gente e fidarsi, arrivare su un palchettino su un divano scrauso, con volutamente quattro luci che si tirano su. Io l’ho anche detto: voi vedete le luci, dei monitor, ma le cose nascono in questo modo, tutto quello che avete visto nasce con dei musicisti seduti in una cantina che cercano di dare voce a quelle che sono i propri bisogni e necessità e cercano di raccontare, con il proprio linguaggio, il mondo e la vita che li attraversa.

A proposito di set acustico: quanto ti è piaciuto farlo in questo modo e cantare Senza Vento?

Non ero mai riuscito a dare la giusta lettura a quel pezzo, non lo vedevo al di fuori dei Timoria, proprio perché è un’icona di un periodo per me, di quella band, di quella cosa lì. Mi è sempre sembrato fuori luogo riproporla. Farla così in quel contesto l’ho trovato molto adeguato. Mi sono divertito moltissimo perché per me è stata una liberazione e poi mi ha restituito tutto quello che era rimasto lì e non è andato perduto, così come sapevo, e questo vale per tutto quello che ho fatto in quel set acustico.

Cosa pensi del secondary ticketing?

Che cos’è? Io sono un dinosauro… ah, il bagarinaggio! Il bagarinaggio è fuori legge, cosa devo pensare?
Abbiamo deciso di fare solo 5 date e non 500 è dovuto anche alla chiara sensazione di quelli che sono i numeri che si possono ottenere. Da bresciano, ho sempre tenuto i piedi ben saldi per terra per rispetto del lavoro di tutti, è inutile far impazzire i promoter o un impresario costringendo perché vuoi fare lo stadio a fare cose che non hanno alcun significato. Sono felice di questi numeri che per me sono una bella e incredibile sorpresa.

Quando abbiamo ascoltato il disco in studio un anno fa, ti chiedevi come sarebbe andato perché avevi fatto dei cambiamenti. E poi il disco è andato bene. Come te la sei sentita questa ascesa?

Piano piano, è quello che in realtà volevo fondamentalmente. Io volevo fare le cose piano piano, perché so che le cose che accadono quando devono succedere, sono poi quelle che rimangono e sono i mattoni saldi sui quali costruire qualcosa che rimane. Tutto il mio percorso è stato caratterizzato da questo modus operandi. Sono fortunato ad aver trovato dei collaboratori, un team che ha con me questa visione, che ha delle meravigliose aspettative ma che non sono mai voli pindarici, sempre guardando le cose. I palazzetti sono venuti fuori un po’ alla volta quando ci siamo resi conto che si poteva osare e questa è la filosofia di tutti. Sono felice dei risultati che stiamo ottenendo. Credo che ci sia ancora moltissimo da fare con questo disco, nel 2017 con un altro live, con un altro tipo di live voglio riuscire a portare il sapore di questo spettacolo in tutte quelle zone in cui non potevo permettermi un palazzetto, come la mia Sardegna, perché non posso non andare nella mia Sardegna!

Pensi che tornerai mai a Parigi a teatro?

Eravamo in Spagna! Non lo so, chiedo al Presidente! Tu hai intenzione di farlo?
Non lo so, ora c’è stato un inizio di percorso per quel che riguarda il Sud America anche con la mia amica Laura abbiamo fatto qualcosa. Da artigiano preferisco consolidare le cose, farle bene qui.
Ho imparato, ora che sono anziano, che le cose arrivano quando devono arrivare. Tu puoi forzare la mano, inventarti qualsiasi cosa, ma alla fine è la gente che decide e quando è sintonizzata, ti dà la possibilità di realizzare i tuoi sogni che poi sono anche i loro sogni.

Quando abbiamo ascoltato il disco, mi colpì una frase: voglio usare diversamente la voce, metterla maggiormente al servizio della musica. Alla luce di questo live, che voto dai alla tua voce stasera?

Questo non lo so, la cosa più difficile è stato… dal punto di vista concettuale c’è un fil rouge che lega tutti i dischi precedenti con questo ultimo. Scriverò il tuo nome è un disco di canzoni d’amore e mi ha sorpreso perché non ho fatto nessuna fatica dal punto di vista testuale. Il racconto è iniziato nel primo disco, il racconto dell’amore non è niente di nuovo per me, a parte che in questo ultimo progetto è dichiarato, ma sono tutte canzoni che parlano di questo.
dal punto di vista stilistico ci sono cose molto diverse che seguono quello che è stato il mio percorso, dal punto di vista vocale, invece, c’è stata la difficoltà maggiore. Sono tutti pezzi molto diversi, hanno la necessità di voci doppiate, ma è stato un risultato, spero, bello. Anche le cose più vicine agli inizi, più vicine alla mia natura, sono riuscite a sposarsi con l’energia, la forza e la modernità di questo canto con testi così serrati. Però è stato difficile!
Faccio molta più fatica a cantare Guardami amore che dal punto di vista della tonalità è un brano ridicolo, che non La tua bellezza in cui mi sento molto più a mio agio perché sono territori che ho frequentato da sempre. Invece riuscire a cantare un disco che è stato registrato tagliando i respiri, quindi cantando a pezzi, riuscire a farlo alla stessa velocità, con una voce doppiata sotto (quindi che ti impone di seguire quella metrica), è stato difficile perché non puoi prendere mai il respiro.

Questo fil rouge che si è espresso nel disco, poi si ritrova nel live?

Sì, è stata questa la sorpresa più grande. Voi pensate che si immagini e si pensi, invece è tutto più naturale. Si scrivono e si fanno dei dischi perché hai l’urgenza di comunicare qualcosa, l’artista è questa cosa qui. È totalmente inadeguato al resto, vive in un mondo claustrofobico suo e ha un linguaggio che è la sua arte per raccontarsi e raccontare quello che vede, l’attraversa o il modo in cui vede e interpreta l’esterno di sé. Tutto il resto è qualcosa che non sai nemmeno tu. Mi sono reso conto mentre facevo la scaletta che la cosa più semplice era legare pezzi distanti nel tempo, perché il concetto era sempre quello. Penso che qualsiasi artista abbia due o tre nodi attorno ai quali gira per tutta la sua esistenza, qualsiasi quadro, film, libro scriva, sempre di quello va a parlare. Sono le cose che lo costringono ad essere artista. Sono i suoi nodi e, dal momento in cui gli sciogli, probabilmente smetti di essere artista.

La scaletta resterà sempre la stessa o pensi di modificarla?

La scaletta resterà uguale. È lunga?
i tempi di questi cose sono molto lunghi, se cambi una virgola, diventa un problema gigantesco.

Ci sarà un’altra esperienza dal vivo?

Non lo sappiamo, ora siamo concentrati su questo. Sicuramente non saranno solo queste 5 date perché voglio portare questo disco, questo concerto a tutti quelli che mi stanno dicendo Perché non vieni… bisogna avere rispetto.

Visto il tuo passato, hai pensato anche a delle cover in scaletta?

Ci avevo pensato, ce ne sono alcune che mi sarebbe piaciuto fare e le abbiamo anche provate, ma già così sono 40 canzoni. Ho voluto dare la precedenza a questo disco che ha molto ancora da dire. Ho fatto un sondaggio sul mio zoccolo duro e sono venute fuori tante cose che ho messo, anche che non proponevo in scaletta da qualche anno. Ho fatto Senza Vento e per adesso penso sia abbastanza.
Ci sono delle canzoni che sono degli obbligati e, per uno come me che è anziano, è difficile togliere… e sono almeno una 20ina le cose che non puoi togliere, come Angelo, Meraviglioso… è tanta roba per fortuna, ma da un altro punto di vista è una sfiga.

È rimasto fuori qualcosa?

Sì, anche dal disco sono rimaste fuori un paio di canzoni… una è Perfetto.. poi è rimasta fuori una cosa che non era ancora a fuoco durante la data zero che era Da lontano. L’ho tolta io ieri in macchina. Ci sono delle cose che, quando arrivano, va in sbattimento e dici “Ma perché?” e allora togliamone una e basta per essere più sereni.
Ma comunque vi è piaciuto? Andiamo a bere adesso!

…e inizia l’after show.

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