24 Giugno 2020
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24 Giugno 2020

Rosa Chemical tra la rappresentazione LGBT e il rischio del queerbait?

Matteo Mori ci parla del rischio di queerbait legato a Rosa Chemical, uno dei rappresentati del Pride 2020 italiano scelti da Spotify.

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Rosa Chemical viene scelto come uno dei rappresentati del Pride 2020 italiano da Spotify. Ma c’è una linea, neanche tanto sottile, tra una giusta rappresentazione delle minoranze LGBT+ e lo sfruttamento della loro cultura.

Giugno: un mese bellissimo per chi fa parte della comunità LGBT+.

Aziende che su Facebook cambiano la propria immagine del profilo con una a tema gay friendly, per poi dimenticarsi della causa per tutto il resto dell’anno, e dibattiti, perlopiù portati avanti da persone etero, sull’importanza o meno del Pride negli ultimi anni (spoiler: è ancora importante).

Nel mondo della musica, Spotify ha dato inizio alla campagna “Unlike Any Other“, volta a celebrare gli artisti LGBT+ in un periodo in cui non si può scendere in piazza per ovvi motivi.

Playlist che rendono omaggio alla musica da ballroom e ai compositori queer regalano un’ottima soundtrack “Pride”, tra nomi conosciuti ed altri più relegati alla scena underground.

Pride 2020: Rosa Chemical, Achille Lauro e il pericolo Queerbait

Mentre scorro tra le storie di Instagram, vedo che, tra i contenuti sponsorizzati, questa campagna ha toccato anche il territorio italiano, con Rosa Chemical.

Se si cerca quest’ultimo su Google, quello che spicca è la sua estetica, che inevitabilmente rimanda a un immaginario legato alla comunità LGBT+.

Nel nuovo album, FOREVER, Rosa gioca col suo presunto orientamento sessuale in RAF SIMONS (“se l’hip hop è morto, è grazie ai fr*** come me“) oppure in NUOVI GAY, dove racconta la bisessualità e il non binarismo caratterizzante della Gen Z.

Insomma, temi interessanti nel mondo della trap italiana. Ma l’attivismo musicale finisce quando si ha rischio di cadere in un mero Queerbait.

Il Queerbait (letteralmente, “esca per i Queer”) è una strategia di marketing, usata perlopiù nel mondo audiovisivo, per la quale si vengono ad utilizzare riferimenti LGBT+ per attirare il pubblico di quella comunità. Insomma, usare elementi per i quali persone in tutto il mondo vengono discriminate per motivi commerciali.

In un’intervista per Rolling Stone Italia, Rosa Chemical ha affermato di non voler dichiarare la propria sessualità in quanto faccenda privata. Ma quant’è privata quando la si utilizza e ostenta per la propria estetica e il proprio lavoro?

Achille Lauro, altro esempio di non binarismo stilistico usato come provocazione, fin da subito si è dichiarato etero, un ally, che del suo travestitismo non vuole fare del Queerbaiting, ma un ragionamento sul concetto di machismo che si ha nella società odierna.

La differenza? La presa di posizione.

I personaggi pubblici sono liberi di tenere per sé certi aspetti della sfera privata, come la sessualità. Nessuno vuole forzare coming out non volontari. Ma giocare costantemente con determinati rimandi a una cultura LGBT+ nascondendosi dietro all’ambiguità, trasforma dei buoni propositi in prese in giro verso il proprio pubblico.

Senza dichiararsi apertamente, si rischia di cadere nell’ipocrisia e fare leva sulla volontà di rappresentazione da parte delle minoranze.

Alcuni di voi potranno dire “ma non è meglio parlarne in questa maniera piuttosto che non parlarne proprio?“, eppure penso che una rappresentazione inconcludente porti più danni che benefici.

Richiamare il mondo LGBT+, che non può essere scisso dalla sua storia socio-politica, senza schierarsi, può portare a quello che è una vera e propria appropriazione di una cultura di cui non si fa parte.

Se si vuole davvero creare dei presupposti per un cambiamento, bisogna anche avere la forza di proporsi senza opportunismi; Rosa Chemical ha le possibilità di portare avanti un discorso su una giusta rappresentazione della minoranza LGBT+ nell’industria musicale italiana, che non può essere relegato solo alle playlist Spotify del Pride 2020.

 

(S)cambio generazionale è la rubrica in cui il 19enne Matteo Mori racconta cosa significhi essere nati in un mondo dove la musica era già agli stadi finali nel suo formato fisico e più vicina alla digitalizzazione.