19 Agosto 2018
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19 Agosto 2018

Claudio Lolli rivive per noi nelle parole di Roberta Giallo e di un alunno speciale, Nicolas Bonazzi

Abbiamo chiesto alla cantautrice Roberta Giallo, grande estimatrice di Claudio Lolli, di ricordarlo per noi

Claudio Lolli
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Claudio Lolli è uno di quegli artisti che vanno ricordati attraverso il racconto di anime affini, poeti e persone che hanno avuto modo di conoscerlo, non attraverso le fredde parole di Wikipedia. Proprio per questo abbiamo chiesto ad una sua grande estimatrice, la cantautrice Roberta Giallo, di ricordarlo per noi. E lei ha voluto coinvolgere un amico, il cantautore Nicolas Bonazzi, che proprio di Lolli fu allievo.

Quando si parla dei grandi, bisogna stare attenti, ma se a guidarci è sentimento e ammirazione profonda, possiamo stare tranquilli, anche se – è vero che non riusciamo a parlare, e che parliamo sempre troppo… –
Citando il “nobile” Claudio Lolli, voglio augurarmi di riuscire a stare in quella giusta misura di parole, che è propria dei poeti e dei cantautori speciali, perché è di uno parecchio speciale o “che è venuto su un po’ strano” (come lui stesso confessa in quelli come noi) che sto parlando.

Come molti altri, ammetto con un certo dispiacere, da cantautrice indagatrice, di averlo conosciuto troppo tardi. Ma non è solo colpa mia. Forse è il destino dei “nobili d’animo”, delle voci non eclatanti, quello di arrivare più lentamente, ma forse, proprio per questo, col tempo, entrare e restare più profondamente.
Claudio Lolli è il cantautore che forse con una forza mite, oppure con una irriverenza composta, ha dato voce, con note e parole, al grido interiore di tanti. E non solo ai giovani “ridicoli” degli anni 70, così come li ha anche chiamati con affetto, ma anche a quelli di adesso e a quelli a venire, che ridicoli saranno sempre, perché la purezza del sentire spesso fugge la misura e l’ordine dei poeti già maturi e capaci.

L’attualità di Lolli sconvolge, perché il tempo che ha cantato sembra lontano, parla di “borghesia”, odora della stessa nostalgia di alcune vecchie canzoni francesi, ma allo stesso tempo parla fortemente e intimamente anche a noi, perché “è vero che abbiamo paura dei poeti”. Accidenti! Tuttora. Una grandissima paura dello scompiglio che possono portare. E non li ascoltiamo, preferendo quelle caramelle plasticose e zuccherine, che galleggiano anziché affondare.

Ma con la poesia si naufraga, si affonda, citando “uno” di cui Lolli avrà parlato a scuola…
Questo purtroppo è maledettamente vero, ed è tuttora il motivo di tanta aridità musicale.
Sia chiaro, non amo i catastrofismi e l’attitudine necrofila nel parlare di musica, perché la musica è viva.
Credo ci sia tanta ricchezza, anche se forse dovremmo cominciare a pretendere che a scuola si parli di Claudio Lolli, così come anche di Guccini, di Piero Ciampi, di Sergio Endrigo etc. E questo non lo dico io, qui semplicemente mi accodo alla tesi di Paolo Talanca, che da tempo cerca di dare vigore all’importanza della memoria, ma anche del futuro del cantautorato italiano.

È vero che dalle finestre non riusciamo a vedere la luce perché la notte vince sempre sul giorno e la notte sangue non ne produce…” Allora proviamo a regalare allo stesso Lolli la speranza che possa anche non essere così.
E facciamoci un regalo, ascoltiamo la sua discografia.
Per chiudere, ve lo voglio ricordare con le parole di un amico che me lo ha fatto conoscere al posto della scuola, Nicolas Bonazzi, anche lui cantautore, e pure parecchio fortunato! Ha avuto il privilegio di ritrovarselo come professore. Questo è il suo ritratto:

Ricordo ancora il primo giorno al licelo, questo prof un po’ strano, con l’aria malinconica e l’espressione sempre assorta verso altri dove.
Era un artista, lo si poteva intuire dall’universo che scrutava coi suoi occhi distratti, un artista venuto da un tempo passato, lontano, che ancora non conoscevo, anche se la scuola mormorava tra i corridoio e la sua fama tentava di precederlo. 

Era il mio professore di italiano, Claudio Lolli, e con quella voce sgranata, inconfondibile, così vissuta e nostalgica, sempre pacata, si è impegnato a fondo a insegnarci sopratutto l’importanza del linguaccia connotativo, il dettaglio delle figure retoriche che animano la narrazione e ne rendono così vividi i colori e i profumi, e così efficaci le emozioni.
E, così, da lui ho imparato cosa fosse una metafora, un ossimoro, una sinestesia, ancora prima di scoprire che proprio lui aveva fatto della poesia e della narrazione un’arte meravigliosa.
Soltanto dopo qualche mese, perché le voci corrono, al mio orecchio è arrivata la sua pura poesia, con Ho visto anche degli zingari felici, Borghesia, Michel tra le altre. 

A lui con ammirazione reverenziale, ho chiesto i primi consigli sulle lezioni di chitarra e sulla mia 12 corde. Ed è sicuramente anche grazie a lui se ho capito che era possibile prendere in mano una chitarra e raccontare una storia in rime, metafore, sinestesie, appunto. Lo definirei uno splendido esempio che ho avuto la fortuna di avere davanti agli occhi.
Lo rincontrai soltanto pochi anni fa dopo molto tempo, incrociandolo in aeroporto di ritorno da una serata. Mi sono avvicinato per salutarlo e fargli sapere con fierezza che anche io ormai portavo in giro le mie canzoni. L’ho visto fiero di me, e assorto come sempre. Voglio portare di lui questo ricordo. Ciao prof!

Quanta poesia ha seminato e fatto germogliare, mi sembra evidente, no?
Claudio Lolli, grazie per aver destato fortemente in me la sensazione che la musica possa abbracciare, e a sua volta farsi abbracciare, dalla poesia.

 

Roberta Giallo