“Ragazzo triste come meeeee…” cantava Patty Pravo. E Ragazzo triste è stato, fino a poche settimane fa, anche il nome di una delle playlist editoriali più riconoscibili di Spotify Italia. Una raccolta diventata nel tempo un punto di riferimento per chi cerca ballad malinconiche, testi cupi, e canzoni che parlano di fragilità e disillusione. In sintesi: “Canzoni tristi per chi ha un cuore spezzato”, come recitava lo slogan originale della playlist.
Il caso Ragazzo triste: quando una playlist scompare (o cambia forma)
Qualche settimana fa, su All Music Italia, avevamo pubblicato un editoriale nato da dati pubblici e osservazioni professionali che analizzava lo stato di aggiornamento della playlist. All’epoca Ragazzo triste non risultava aggiornata da settimane: l’ultima modifica era datata 3 aprile 2025, e solo due dei brani presenti erano usciti nello stesso anno. Un terzo della playlist era composto da canzoni pubblicate prima del 2024. Inoltre, sei artisti occupavano da soli il 30% delle tracce. Un’anomalia per una playlist editoriale pensata per riflettere il presente musicale italiano.
Dopo la pubblicazione del nostro pezzo, qualcosa è cambiato.
Una nuova playlist al suo posto (ma non è davvero nuova)
Se oggi si cerca Ragazzo triste su Spotify, non si trova più. Al suo posto compare una playlist chiamata Rimedi per cuori spezzati, con lo stesso mood e lo stesso numero di follower, ma con una dicitura precisa: “Solo per [nome utente]”. Questa frase indica chiaramente che si tratta di una playlist algoritmica personalizzata, cioè non più un contenuto editoriale valido per tutti gli utenti, ma una selezione variabile costruita in base ai gusti del singolo ascoltatore.
La trasformazione non è inedita. Spotify da tempo sperimenta playlist “ibride” o “algotoriali” (algoritmiche + editoriali) che vengono personalizzate partendo da un pool di brani scelto dagli editor ma assemblate automaticamente per ogni profilo utente. Il risultato? All’apparenza una playlist identica per tutti, ma in realtà differente da account ad account.
Perché la distinzione tra algoritmico ed editoriale è importante (davvero)
Per chi lavora nella musica, la distinzione è sostanziale. Una playlist editoriale pubblica può portare a una reale esposizione, è visibile a tutti, consultabile e tracciabile. Una playlist algoritmica, invece, è visibile solo a chi ha un certo tipo di abitudini di ascolto, non è rintracciabile esternamente e può cambiare da un momento all’altro. Un artista potrebbe risultare presente su una playlist… ma solo per un gruppo ristretto di utenti. E questo rende più difficile monitorare la reale portata di un’inclusione, o persino dimostrarla.
Da documentazione ufficiale, Spotify stessa distingue chiaramente le playlist editoriali – curate dagli editor e visibili a tutti – da quelle algoritmiche personalizzate, che recano la dicitura “Solo per [nome utente]”. Esiste anche una terza categoria ibrida, le cosiddette algotorial, in cui gli editor creano un pool e l’algoritmo genera la playlist in base al profilo utente. Ma nessuna di queste tipologie prevede – ad oggi – la riconversione silenziosa di una playlist editoriale in personalizzata mantenendo follower, immagine e titolo simile.
Quello che segnaliamo, quindi, è un fatto riscontrabile pubblicamente: la playlist Ragazzo triste è scomparsa dalla visibilità editoriale pubblica ed è stata, almeno per ora, sostituita da una playlist algoritmica. Non sappiamo se tornerà, se è stata archiviata o se è in fase di rielaborazione. Ma la questione è rilevante, soprattutto per chi nella musica ci lavora: artisti, uffici stampa, etichette, manager. Perché la differenza tra un contenuto stabile e uno fluido, tra una selezione visibile e una invisibile, può cambiare il modo in cui si promuove un progetto musicale.
Questo articolo rientra nel diritto di critica e cronaca giornalistica, come previsto dall’art. 21 della Costituzione Italiana, ed è basato su osservazioni e dati pubblici e verificabili all’interno della piattaforma Spotify. Le opinioni espresse sono analisi professionali e non intendono mettere in discussione la legittimità delle scelte editoriali della piattaforma citata.
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