11 Febbraio 2020
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11 Febbraio 2020

RIKI: la risposta del Prof di latino all’insulto omofobico: “il riferimento alla bellezza, oggi uno degli argomenti vigliacchi del bullismo più basso….”

Dopo l'insulto a mezzo social nei confronti del Prof di latino di All Together Now, arriva la risposta di quest'ultimo

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Ieri il cantante Riki, a seguito di un articolo con le analisi dei testi di Sanremo 2020 del nostro Prof di latino (nonché Prof del muro di All Together Now) Davide Misiano, lo ha offeso con parole decisamente poco carine sulla pagina Instagram dello stesso (“… sei una checca e le checche per definizione sono frustrati…”. Qui il testo completo).

La notizia, vista la gravità delle parole usate, è stata ripresa da molte testate (Il Messaggero, Il Tempo, Trend.it, Gay.it, Bitchyf, Novella 2000…).

All Music Italia, in quanto sito da cui tutto è partito e per cui Davide Misiano scrive, ha chiesto allo stesso di formulare una replica pubblica. Una replica necessaria perché, come si sente dire spesso di questi tempi, le parole hanno un peso.

Soprattutto se a offendere non è un ragazzo bello, come si autoproclama il cantante, ma un teen idol seguito da un vasto pubblico di adolescenti. Un teen idol che, piuttosto che scusarsi, ha preferito vigliaccamente cancellare il posto incriminato che trovate comunque qui sotto.

Ecco la risposta del Prof di latino.

Riki. La risposta di Davide Misiano, il Prof di latino

Voglio innanzitutto rispondere all’affermazione “Se c’è una cosa che conosco è la grammatica italiana”. Intanto, Riki, riscriverei proprio la frase con cui ti sei difeso sotto il mio post.

Hai preso una frase meravigliosa che se fosse stata scritta da un personaggio più brutto e quotato dalla stampa sarebbe considerato un poeta”.

Questo “che” ha le sembianze di un pronome relativo usato scorrettamente. Se volessimo intendere il “che” come congiunzione subordinante consecutiva, allora dovremmo scrivere:

Hai preso una frase così bella che, se fosse stata scritta da un personaggio più brutto e quotato dalla stampa, questi sarebbe considerato un poeta”.

Ho restituito due virgole utili, ho reso la subordinata una consecutiva e ho espresso il soggetto necessario (questi).

Poi scrivi anche che “le checche per definizione sono frustrati”, ma su questo errore di concordanza sorvolerei. Che tu abbia problemi con i “generi” ci pare evidente, ma noi siamo per la pansessualità.

RIKI: LA CANZONE

Il giudizio che ho espresso, nella consueta chiave caustica e irriverente che caratterizza la mia rubrica su All Music Italia, muove da un’analisi personale del testo di Riki, che ho provato a sintetizzare in poche righe, come lo stile giornalistico impone.

Trovo che il testo di Lo sappiamo entrambi si risolva nell’accostamento di espressioni presuntamente liriche dal significato poco consistente.

Le immagini sono tante: ad esempio, nella prima strofa, “le luci che si spengono”, “il tempo che ci ascolta fissandoci tra storie che scorrono” (?)  e “noi che osserviamo le storie cambiare e troviamo cambiati solo noi”. Ho registrato una contorsione che è logico-sintattica e una tendenza ad accentuare il linguaggio figurato fino a saturarne il potere comunicativo.

La sensazione è di un melodramma esistenziale, che mi ha indotto a suggerirgli di “fare pace con la sintassi e con la vita” (che poi non è così tanto brutta! – è questo che volevo intendere nell’ironica esortazione finale).

Non trovo vi sia un attacco personale in questo; di certo c’è un giudizio di merito di cui mi assumo la responsabilità nell’atto stesso di scrivere.

Dal canto mio, non avrei mai potuto obiettare nulla a Riki qualora avesse sentito il bisogno di difendersi anche energicamente. Anzi sarei stato lusingato dalla considerazione da lui riservata alla mia modesta opinione.

Né chi giudica un testo può avere la pretesa di comunicare una verità universale, valida per tutti. Io ho lo spazio per esprimere un parere, lui per dissentire. La gente per decidere a chi riconoscere autorevolezza.

… CHECcA FRUSTRATA

In ultima istanza mi sento di replicare anche al “c….a frustrata” che ha naturalmente generato il dissenso di tanta gente che è atterrata casualmente sulla mia pagina.

Io non mi sento offeso dalla parola in sé, né dal fatto che sia stata riferita alla mia persona. Però colgo l’occasione, alla mia veneranda età, di consegnare un modesto insegnamento al giovane Riki.

Quattro mesi fa, in un post carico di like, scrivevi: “Froc*o non è un insulto, specialmente nel 2019”. Noto con piacere che non ti è estranea la riflessione sul peso sociale delle parole. Ma compi un errore di valutazione: “Froc*o” è un insulto! Lo è oggi e lo era quando è stato introdotto nel vocabolario.

In un mondo giusto, il referente che il termine richiama non è una cosa negativa, è solo una condizione dell’essere. Ma nel nostro mondo, “froc*o e chec*a” sono parole appositamente create come armi, altrimenti non sarebbero mai esistite.

Le parole nascono per riempire i vuoti della lingua: quando si è deciso di “impoverire” il nostro vocabolario con questi termini, l’unico vuoto della lingua che si è inteso riempire è stato quello dell’offesa.

Sono termini “marcati”, appartenenti a uno specifico registro e con una precisa destinazione d’uso. Non voglio essere troppo complesso nella spiegazione, perché è bene che tutti capiscano che l’alterità, termine che io preferisco sostituire a “diversità”, va rispettata già a partire dalle parole che usiamo.

Dire “sei etero” non è come dire “sei froc*o” o “sei chec*a”, non diciamo stronzate. Se le due realtà fossero ritenute entrambe giuste e non deplorevoli, non esisterebbero questi due termini degeneri che mi hai costretto a usare fin troppe volte nella mia risposta.

Ciò che hai sottovalutato è che, quando oggi hai deciso di usare uno di questi termini, non hai ferito me, che sono sufficientemente schermato dalla vita e dalla cultura, ma tutti coloro che si sono riconosciuti nello status che tu hai squalificato.

L’ignoranza e la sottocultura offendono più o quanto il pregiudizio. In un momento storico come questo in cui la parola è divenuta arma potente, anche nelle infinite manipolazioni che subisce, è necessario avere tanta cautela, soprattutto sui social.

Non meno grave il riferimento alla bellezza, che è oggi uno degli argomenti vigliacchi del bullismo più basso.

Che io sia un cesso non è probabilmente molto distante dal reale, ma che tu sia così bello (dato indiscutibile) non è qualcosa di cui hai merito.

La sensibilità, la cultura, l’intelligenza, il dominio della parola sono meriti veri, che spero tu voglia ancora considerare. La facilità con cui hai pensato di poter offendere tramite la denuncia della mia bruttezza è atteggiamento ancora di troppe persone nella nostra società.

Io ho una struttura molto solida, ripeto, molti altri no. E tra i molti altri includo i ragazzi che ti seguono, alcuni dei quali io ho la possibilità di osservare ogni giorno e di studiare nelle loro dinamiche relazionali. A scuola, tra i banchi, dove c’è la vita vera.

Voi artisti potete fare tanto per cambiare le cose, perché avete un potere sociale altissimo, che è all’origine di una catena infinita di riconoscimenti e identificazioni. A volte per quello che dite o cantate, a volte solo per i followers che avete, ahimè!

Salviamo quindi sempre la libertà di giocare con le parole, salviamo anche la stizza con cui mi hai risposto, stizza legittima nel gioco delle parti. Ma, ti prego, non legittimiamo l’’illegittimabile.