7 Gennaio 2025
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7 Gennaio 2025

Da Simba La Rue a Nerissima Serpe, il rap dai testi violenti e volgari è lo specchio della nostra società

Maschilismo, provocazione ed eccessi: il rap moderno riflette una società in crisi o ne alimenta le contraddizioni?

Testi rap violenti volgari
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L’arte è lo specchio della società, diceva Tolstoj. Se è così, e se è vero che la musica è arte, allora cosa ci dicono e cosa riflettono i testi di artisti rap, di cui si discute molto negli ultimi anni, spesso violenti e volgari, come Tony Effe, Baby Gang, Nerissima Serpe e Simba La Rue, con la loro volgarità ostentata, il sessismo mercificato e l’esaltazione di modelli di vita aggressivi?

A titolo esaustivo cito l’ultimo singolo Ayahuasca, di Simba La Rue, che ha debuttato al primo posto della classifica giornaliera di Spotify

L-L-Lei l’ho svergin*ta, poi si è fumata una stagnola (Ahi)
Le metto il ca**o dentro, mi sento dentro uno stagno
Non distrarmi (Mhm), addosso ho i tuoi cash, non distrarti
Whisky addosso, non sento che sanguino

È facile indignarsi, come hanno fatto di recente Francesco Sarcina o Kekko dei Modà, o bollarli quali esempi di decadenza culturale come ha dichiarato Enrico Ruggeri, ma prima di farlo dovremmo chiederci: perché questi artisti sentono il bisogno di esprimersi così?

Il rap come codice sociale tra testi violenti e volgari

Il rap, nato nei ghetti americani come riscatto e denuncia da parte di chi si sentiva ai margini della società (e in quel modo aveva decisamente il suo senso), oggi è semplicemente una performance che risponde a regole di mercato ben precise: il successo deve passare attraverso la provocazione e l’eccesso ma soprattutto più sei esplicito, più fai rumore. E più fai rumore, più hai séguito e quindi guadagni.

I dati di Spotify del 2024 non lasciano dubbi: i brani hip hp/rap conquistano il primo posto delle canzoni più riprodotte per 46 settimane su 52.

Il rap è mainstream e si muove tra due forze opposte: da un lato, l’ostentazione del lusso e del potere come simbolo di affermazione sociale; dall’altro, la riproduzione di un concetto maschilista e violento in cui il corpo della donna diventa una merce di scambio, un oggetto da esibire o sottomettere che affonda le sue radici in un mondo degradante teoricamente (ripeto teoricamente!) inaccettabile nel 2025.

Per onestà intellettuale, va detto che ci sono rapper come Leon Faun, capace di distinguersi per l’uso di un linguaggio evocativo e raffinato. A differenza di molti suoi colleghi, evita la volgarità e le tematiche stereotipate del rap mainstream, dimostrando che il rap può essere poetico ma al contempo forte dal punto di vista espressivo.

La musica racconta la società in cui si sviluppa

Da sempre ogni forma d’arte racconta il periodo storico in cui prende forma e diventa studio per approfondire il vissuto di quella realtà. Aprendo una finestra storica solo sul nostro stesso secolo, pensiamo al jazz e al blues degli anni ‘20-’30 che raccontavano la vita dei neri americani e la Grande Depressione o al rock’n’roll degli anni ‘40-’50 che cantava la ribellione giovanile o alle canzoni di protesta degli anni ‘60-’70 di Bob Dylan o De André che raccontavano guerra, politica e diritti civili.

Se dunque l’arte dei rapper dei nostri anni riflette il mondo in cui viviamo, allora dobbiamo porci qualche domanda: che tipo di società sta generando questi testi? Perché i più giovani apprezzano, seguono e accolgono queste canzoni, esaltandole?

Il valore individuale generato dai social network

Questi ultimi decenni sono senza dubbio figli del valore individuale. I social network da strumento di conoscenza e comunicazione sono diventati uno strumento per mostrarsi, per avere visibilità e successo economico, per esaltare appunto un valore individuale. Questi rapper – ma in tutta onestà non solo loro, è davvero un male che ci tocca tutti – principalmente trovano terreno fertile in questi territori “social” facendo dell’apparenza e della provocazione le monete di scambio più efficaci.

In questo contesto, la musica diventa uno strumento per capitalizzare e dire sfrontatamente tutto quello che gira per la testa, senza filtri. Da questi giovani cantanti (che francamente spesso non sanno neanche cantare) viene fuori una rabbia verso ogni cosa: il sesso, i soldi, la società, la tradizione. Tutte le loro ostentazioni, volgarità, provocazioni sono per forza uno specchio che riflette la realtà.

Quale è questa realtà? Nonostante i progressi innegabili è una realtà che affonda ancora le radici nella disparità tra uomo e donna così come nel valore del denaro come bilancia del successo nella società.

I rapper di oggi non fanno che estremizzare un linguaggio già presente ovunque, rendendolo ancora più esplicito e brutale.

Che immagine vogliamo riflettere con testi rap volgari e violenti?

Non possiamo limitarci a condannare questi testi senza affrontare il contesto che li produce. Dobbiamo chiederci perché il maschilismo e la violenza vendano così bene, perché il linguaggio che sembra funzionare sia quello della provocazione estrema.

Forse il problema non sono i rapper, ma il mondo che li premia. E se è così, l’unica vera ribellione non è scandalizzarsi e censurarli ma lavorare per costruire un immaginario culturale diverso, in cui la forza e il successo non debbano passare per la svalutazione dell’altro.

E allora, più che censurare, forse dovremmo iniziare a rivedere dal profondo la nostra società. Per esempio, l’educazione affettiva e sessuale nelle scuole, non si dovrebbe limitare a spiegare il corpo umano, ma dovrebbe insegnare il rispetto e la gestione delle emozioni fin da ragazzini. Forse così possiamo disinnescare alla radice i modelli tossici di mascolinità.

Servirebbe una formazione più precisa e puntuale per magistrati e forze dell’ordine che devono proteggere le vittime e applicare la legge.Ci sono davvero troppi casi di violenza sulle donne che vengono mal gestiti.

Venendo alla musica,ci vorrebbero nuove consapevolezze e norme nei media e nella musica: premi, visibilità e successo non dovrebbero essere dati a chi come Baby Gang, seppur condannato per disordini civili e resistenza a pubblico ufficiale, ha avuto l’autorizzazione dai giudici per fare il concerto.

Perché se l’arte è davvero lo specchio del nostro tempo, è arrivato il momento di chiederci che immagine vogliamo riflettere.