18 Settembre 2016
di Disturbo della quiete pubblica
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18 Settembre 2016

E bravo FEDEZ!

Fedez è partito per Beirut e, grazie all'Unicef, arriverà in un campo rifugiati per collaborare ad un progetto per i bambini.

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Tante volte me la sono “presa” con lui, ancora di più ho letto delle sue uscite sui social con pensieri per niente in linea con i miei.

Siamo diversi, tanto diversi ma questo non è mica un male.

Però ieri, quando ho letto il suo post dall’aeroporto, ho pensato: “E bravo Fedez!“.

Fedez è partito per Beirut con l’Unicef, destinazione campi rifugiati per portare avanti un progetto con i bambini. Non ha raccontato i dettagli, ha detto, però, delle cose che mi hanno colpito.

Ma mentirei se negassi, a voi e a me stesso, che chi ha molto da guadagnare da questa esperienza sono soprattutto io. Da qualche anno a questa parte vivo in una sorta di bolla virtuale, una realtà aumentata in cui i sentimenti sono ovattati e le emozioni sembrano di plastica.

Mi immagino la vita di questo ragazzo di neanche 27 anni travolto dalla notorietà, sulle pagine dei tabloid, osservato in ogni suo movimento. Ok, i nostri genitori (o nonni), a 27 anni avevano già una famiglia sulle spalle e delle responsabilità che già la mia generazione ha rimandato a 10 anni dopo (figuriamoci quella di oggi che, a 27 anni, ancora non ha un reddito), ma i tempi sono cambiati.

Fedez ha deciso di partire, ha deciso di fermarsi e tornare alle cose importanti della vita, riprendere contatto con la realtà dove i Social ed essere un cantante famoso non contano niente. Ha tanto da imparare da questa esperienza e lo ammiro perché non so se io, al suo posto, avrei rinunciato alle mie comodità (anche se non ho la Jacuzzi sul terrazzo come lui… a dire il vero non ho neanche il terrazzo, ma giusto due balconi per stendere i panni).

Sono in partenza per il Libano. Ho chiesto ad UNICEF di portarmi in alcuni campi rifugiati in Libano per portare avanti un progetto insieme ai bambini che avevo in mente da un po’ di tempo.Quello che sto per fare è un viaggio molto importante, forse il più importante della mia vita. La prospettiva di entrare a contatto con un mondo così lontano dal mio e l’idea di potermi rendere utile con ragazzi che hanno camere con vista sulla guerra mi rende orgoglioso. Ma mentirei se negassi, a voi e a me stesso, che chi ha molto da guadagnare da questa esperienza sono soprattutto io. Da qualche anno a questa parte vivo in una sorta di bolla virtuale, una realtà aumentata in cui i sentimenti sono ovattati e le emozioni sembrano di plastica. Per me, che vengo dal basso e so che cosa significhi sputare il sangue per cercare di cambiare vita, perdere il contatto con la realtà è a tratti alienante e inaccettabile. Forse anche per questo ho deciso di vivere un’esperienza che mi faccia immergere in un contesto forte ma, al tempo stesso, drammaticamente vero: per tornare a sporcarmi le mani e la coscienza con la realtà, per ricordare a me stesso che esiste un mondo reale anche al di là delle colonne d’Ercole della nostra percezione e dei nostri privilegi.
So che può suonare ipocrita, ma le luci della ribalta sono una droga che dà assuefazione, uno stordimento costante e piacevole, dal quale ci si può risvegliare soltanto staccandosi fisicamente dal proprio ambiente. Non basta avere consapevolezza di quello che ci circonda. Bisogna anche prenderne coscienza. E io sono in una fase della vita in cui per compiere questo passaggio sento di dover toccare con mano. Sento di dover entrare anima e corpo in un ambiente che mi fornisca una prospettiva senza filtri né comodi punti d’osservazione sulla realtà.
Al tempo stesso so di avere un compito importante e di prestigio, e spero di rendermi davvero utile portando qualcosa di buono e concreto a dei ragazzi per i quali nuove competenze tecniche possono significare una carta in più per il proprio futuro. Eppure, parto con la consapevolezza che quando tornerò da questo viaggio, non sarò io quello da ringraziare, ma sarò io quello che dovrà dire grazie.

Spero di non leggere più alte cose sui social che riguardano questa esperienza, perché, come si dice, le azioni buone non hanno bisogno di essere pubblicizzate, vanno fatte e basta. Spero solo che, alla fine di tutto questo, la condivisione dell’esperienza sia fatta non per farsi dire di nuovo “E bravo Fedez!“, ma per farci capire ancora una volta quanto siamo fortunati ad avere tutti i nostri agi. Anche quando ci lamentiamo perché non ci possiamo permettere il nuovo iPhone.