4 Gennaio 2020
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4 Gennaio 2020

Intervista ai Bardamù: “Stray bop è un modo di essere e di pensare…”

Intervista di presentazione di "Stray Bop", l'album del duo Bardamù, composto dai fratelli Ginaski Wop e Alfonso Tramontana. Un esempio di contaminazione tra jazz e hip hop.

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E’ uscito lo scorso mese di ottobre, con distribuzione digitale Egea Music, Stray Bop, il nuovo album del duo jazz-hip hop Bardamù, composto dai fratelli Ginaski Wop e Alfonso Tramontana (Qui il nostro articolo).

L’album, disponibile anche in vinile nei negozi e ordinabile sulle pagine Facebook e Instagram dei Bardamù, parte dal concetto che l’hip hop nasce come evoluzione del jazz. Un progetto ambizioso in cui i due fratelli hanno suonato tutto dal vivo, con un approccio simile a quello delle classiche jazz band. Un linguaggio mai sperimentato sotto la forma con cui prende vita Stray Bop.

Stray Bop è stato anticipato dall’omonimo singolo, ma anche da Roll The Dice e And We Will Dance The Love feat. Marianne Solivan.

“And we will dance the love è una ballad che abbiamo composto moltissimi anni fa, e solo adesso abbiamo trovato il sound che più si addice alle atmosfere che intendevamo riprodurre.

Roll the dice invece, prende spunto da una celebre poesia omonima di Charles Bukowski; è una poesia che qualunque artista dovrebbe leggere almeno una volta per prepararsi alle difficoltà e non rischiare di impazzire… entrambi i brani sono in pieno stile Stray Bop: il jazz è infatti la base costante ma alcune sonorità e le metriche riconducono a un suono da strada, quella strada che il jazz contemporaneo ha ormai abbandonato da tempo rendendo tutto roba da conservatorio.”

INTERVISTA AI BARDAMÙ

Quanto è attuale oggi il concetto di “musicisti di strada”?

Ginaski:
E’ anacronistico. Considerato il fatto che viviamo in una società in cui la realtà la si fruisce in forma rappresentata e artefatta. Si è smarrita la ricerca di sé stessi mediante la verità della strada e conseguentemente tutto è più artificiale e a breve scadenza.

Alfonso:
C’è a mio avviso una netta differenza fra essere artisti da strada e suonare per strada. Nel primo caso la strada, nel senso di luogo in cui vengono offerte le più disparate sfumature del genere umano e di ciò che lo circonda, può essere fonte di continua ispirazione.

La vostra musica è ricca di contaminazioni. Quali sono le fonti che guidano l’ispirazione?

Ginaski:
La letteratura, specie quella nordamericana, un certo tipo di cinema, e poi le esperienze e suoni che ci contaminano nel corso dei viaggi e della vita.

Alfonso:
Per quel che mi riguarda il cinema, la letteratura ed un certo tipo di musica.

Qual è la definizione con cui descrivete “Stray Bop”?

Ginaski:
Sotto il profilo concettuale lo Stray Bop è un modo di essere e di pensare. È appunto un ritorno alla fuga, al viaggio, senza mai perdere di vista il punto di partenza.

Alfonso:
Lo definirei Stray Bop.

Definendo la vostra musica avete parlato di “décollage”. Cosa significa?

Ginaski:
Il décollage fu una tecnica inventata da un grande artista come Mimmo Rotella. Lui strappava i manifesti pubblicitari o cinematografici, e attraverso gli strappi apportati era possibile prendere visione a quel che si nascondeva sotto. Era possibile ridare luce alle immagini nascoste riportandole a una costante contemporaneità. Non si trattava di un collage, ma appunto di un décollege: non semplicemente assemblare, ma semmai levare via qualcosa per guardare indietro.

Alfonso:
Per realizzare un brano Stray Bop non è sufficiente mettere insieme in modo manieristico un funky, qualche accordo dissonante ed del rap; décollage è, per l’appunto, destrutturare per poter risalire alla vera radice e all’essenza del jazz.

BARDAMÙ – LO STUDIO MOBILE E… NEW YORK

Come mai avete scelto di registrare in uno studio mobile? Quali sono le caratteristiche di questo tipo di open air recording?

Alfonso:
Lo studio mobile ci consente di poter lavorare in maniera libera sui suoni, di riprendere il suono esattamente come lo pensiamo.

Ginaski:
E’ una scelta comoda che ci permette di registrare in qualunque luogo e in qualunque momento senza limiti di tempo e senza dover spendere enormità in termini economici. Inoltre è una via che consente di lavorare sul “nostro” suono tramite un utilizzo personale della microfonazione e del mixaggio.

A New York come è percepita la vostra musica?

Alfonso:
New York ci ha accolto in maniera molto positiva. Il nostro esordio è stato nello storico Minton’s di Harlem.

Ginaski:
In atto tutto sembra procedere per il meglio. Abbiamo ricevuto ottimo feedback. Suoniamo sia nei jazz club sia nei locali hip hop. Abbiamo trovato un pubblico molto incuriosito e attento al progetto.

In Italia si parla spesso di rap, trap e urban. Qual è il vostro punto di vista su questi generi musicali?

Ginaski:
Io personalmente nutro grande rispetto nei confronti della cultura urban e della cultura più propriamente hip hop. Rap e trap alla fin fine rientrano all’interno di queste culture, quinti ascolto sempre con attenzione. È chiaro che c’è qualcosa che sento più vicina al mio “io” e altro che concettualmente e testualmente si discosta dalle mie necessita uditive ed emotive.

Alfonso:
Penso che siano tutte espressioni artistiche interessanti nonostante mi senta più vicino ad alcune piuttosto che ad altre.

BARDAMÙ – TRA LA MUSICA ATTUALE E… IL 2020!

Come valutate la situazione musicale attuale in Italia?

Ginaski:
C’è qualcosa che mi piace e altro che proprio stento a capire…. come è normale che sia. Un’analisi poi dettagliata e oggettiva la di potrà fare tra 20/30 anni circa. Ancora oggi cantiamo i brani di Dalla per quel che concerne il cantautorato, e i brani dei Sottotono e degli Articolo per quel che concerne la cultura hip hop. Se lo stesso avverrà anche per la musica contemporanea che in atto si produce in Italia, allora ne sarà valsa la pena… in caso contrario dovremo fare i conti con un vuoto generazionale creato da certe realtà e dai certi discografici. Ai posteri l’ardua sentenza!

Alfonso:
Non sono bravo a fare il critico musicale, ed in genere non amo parlare in particolare di un collega in maniera specifica. Il solo fatto di aver ancora voglia di fare musica ai nostri giorni è, a mio avviso, meritevole di elogi. Una considerazione in generale, però, mi sento di farla. Ascolto cose molto interessanti dal mio punto di vista e che sono in linea con il mio percorso artistico, altre, invece, stento a capirle. Ad esempio, parlando di generi, la musica cantautorale italiana è stata definita nei decenni grazie al contributo culturale dei nostri grandi cantautori. Tutti questi artisti che io considero “padri nobili” hanno fornito delle linee artistiche molto chiare che permettono di poter identificare un’opera come una canzone d’autore italiana.

Anche se si vuole destrutturare il genere il risultato dovrebbe comunque portare ad un’opera che arricchisce quello che fino ad ora è il cantautorato. Oggi, spesso, ascolto canzoni sedute sul testo, con testi banali, intrisi di sterili descrizioni della realtà, sembra di ascoltare telegiornali da provincia (con tutto il rispetto per le provincie), voci senza personalità, le “e” e le “o” aperte… e accordi di piano o di chitarra scarni non perché essenziali, o perché spontaneamente imperfetti e sporcati (elemento che adoro) semplicemente perché è manifesta l’incapacità di chi suona a farlo in modo minimamente gradevole.

Quali sono i vostri progetti musicali per il 2020?

Alfonso:
Suonare, scrivere e non fare troppi progetti…

Ginaski:
Non amo fare progetti in generale e lascio che le cose accadano. In linea di massima posto dirti che faremo un altro tour negli States e che continueremo a frequentare i nostri bar preferiti in giro per il mondo.

Foto di Carlos Colón e Farandula OFFi

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