14 Ottobre 2020
di Interviste, Recensioni
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14 Ottobre 2020

Donix: arriva il primo disco solista di una “schizofrenica della musica”

Dalle ceneri de’ La Pankina Krew arriva N4BS il primo disco solista di Donix, una “schizofrenica della musica”

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Di solito le interviste che realizzo per All Music Italia sono quasi sempre delle cosiddette story, delle esplorazioni di carriere longeve alla ricerca di particolari racconti magari insoliti, momenti delle stesse tenuti per lo più all’oscuro persino del mondo sempre attento dei fans. Oggi incontro invece Donix, la giovanissima artista partenopea, già vocalist de’ La Pankina Krew perché ho trovato il suo disco d’esordio solista, N4BS, una piccola gemma da portare all’attenzione.

Donatella Scarpato, questo all’anagrafe il suo nome, è stata infatti capace di mettere assieme 13 tracce in cui è riuscita ad accomunare sotto la voce urban, tutti gli stili da cui proviene o per background artistico o per ascolti che arrivano da lontano, da quando ha iniziato a respirare letteralmente di musica.

E’ proprio da questa considerazione che inizia la nostra chiacchierata

Effettivamente in questo album convivono molte parti di me, che però si sono accorpate in maniera del tutto naturale. Ci sono i miei ascolti, il mio gusto, tutto ciò che è entrato e che adesso è uscito secondo il mio punto di vista. Ho amato ed amo talmente tante cose diverse che in fin dei conti potrei definirmi una “schizofrenica della musica”.

Come a dire che non sei per forza legata ad uno stile preciso?

Si proprio così. Io amo tutti gli stili, dalla black music all’elettronica, dal rock al pop, dal rap alla dance. La gente, anche quella dell’ambiente, vedendo che arrivo da una crew hip hop, La Pankina Krew, fa fatica a crederci, ed invece…

Ed invece?

Invece io trovo che ci siano cose meravigliose in ognuno di questi stili. Non è che stile fai ma come lo fai. Almeno per me.

Che differenza c’è tra questo primo tuo disco solista ed il lavoro in trio dei precedenti due album?

Che volevo venire fuori di più. Abbiamo fatto cose a mio avviso molto belle, ed anche all’interno del trio riuscivo ad avere voce in capitolo, sia chiaro. Quando punto i piedi… Però adesso è stato proprio mettere in musica, la mia musica, tutto quello che sono io, senza più doversi confrontare. Il lavoro di squadra può non essere sempre semplice.

Non ti ha aiutata nessuno quindi?

Certo che si! Far da sola sarebbe impossibile. E’ solo che il risultato finale, la decisione definitiva che è spettata solo a me. Ad esempio senza Oluwong alla produzione ed alla sinergia che si è creata in studio, ai suoni che è capace di trovare semplicemente capendo cosa ho in mente non avrei realizzato il disco che volevo.

Sei uscita solo in digitale per la distribuzione di Believe Italia per cui non posso chiederti che cosa hai provato ad avere il tuo primo disco tra le mani…

A dire il vero la soddisfazione è stata grande uguale. Ci si è riservati però di uscire comunque in vinile, prima perché la musica dal punto di vista fisico ha proprio preso quella strada e poi perché probabilmente il mio stile è proprio giusto per questo tipo di formato. Ho comunque provato soddisfazione immensa ma ti dirò, anche molta ansia. Mi sento un po’ a nudo e sono chiaramente stata costretta a farmi molte domande: piacerà, non piacerà, sarò capita…

E dopo questo primo mese dall’uscita ti sei data già una risposta?

La prima è che mi sono piaciuta. Devo dire che è la prima volta. E poi devo dire che l’accoglienza, quella dei circuiti specifici, è stata più che buona, anche quella della stampa.

Andiamo sul lato artistico del lavoro. La sensazione che arriva ascoltandolo, cosa che aumenta ascolto dopo ascolto, è che sia stato fatto un grandissimo lavoro d’arrangiamento sulle voci; non ambisci a primeggiare sui suoni ma ad esserne inglobata, ad essere un tutt’uno…

L’idea con cui sono entrata in studio era quella di una lavoro in stile LSD, il progetto artistico che mette assieme Diplo, Sia e Labirinth. Quando parlo di loro penso proprio al lavoro fatto sulle voci e come queste siano parte dei suoni. Il risultato non è esattamente quello, però potrebbe essere una delle strade future, quello di un disco di musica elettronica seguendo quel tipo di esempio.

Proprio in un brano come In Tutta La Notte forse questa cosa è evidente in maniera esponenziale, non trovi?

Dici? (ride ndr) Il lavoro su quel pezzo è stato lunghissimo ma il risultato è quello che volevo. Io già metto bocca su tutto ma lì in particolare mi ero proprio prefissa il risultato e tanto ho lasciato il pezzo quando quel che ho riascoltato era quel che avevo immaginato.

In Faccio Per Me canti : “Mando a fanculo chi mi giudica”…E’ un concetto un po’ difficile per chi fa un lavoro esposto a giudizio non credi?

Indubbiamente. Però quel che cerco di dire in quel pezzo è che per me far musica è un’esigenza; nasce da dentro. E’ una cosa che ho sempre sentito, mi è sempre appartenuta. Essere giudicata, aspettare se se ne sia detto bene o male di quel che ho fatto è qualcosa che mi condiziona per 5 minuti. Poi svanisce perché tanto io non potrei fare diversamente.

Non ti arrabbi proprio mai quando leggile critiche?

Solo quando mi rendo conto che non hanno ascoltato o sono stati superficiali. Cose tipo sbagli di titoli, confusione di riferimenti. Allora li mi domando: “se questa è tutta l’attenzione che ci hai messo, come può essere attendibile il tuo giudizio”?

Il pezzo con Luca Persico, meglio noto come O’Zulù, leader dei 99 Posse è una vera bomba, sia per stile, che per testo che per originalità. Proprio quel “La la la” del titolo è qualcosa che ti trapana la mente. Te ne sei resa conto? Come è nata la collaborazione?

Beh conosco Luca da diversi anni. Con la Pankina abbiamo gravitato molto attorno al suo mondo e mi aveva promesso che se un giorno avessi fatto un disco lui ci sarebbe stato. E c’è stato. Non posso che essere orgogliosa di questo.

Manco a farlo di proposito, però, nel pezzo più originale del disco, parli proprio della mancanza di originalità che c’è nell’etere radiofonico. Come ti è venuto?

E’ stata una scommessa! Oluwong aveva creato questo beat in studio dove eravamo chiusi in cerca di idee. Li mi lanciò il guanto chiedendomi di provare a buttare giù delle righe in 20 minuti. Devi sapere che spesso registro sul telefono delle idee che mi vengono in mente ed avevo proprio questo “la la la” messo li, tra i vari file salvati. Così partendo da quello come idea base è venuto tutto il resto. E’ che certe volte mi arrabbio quando giro la radio e non capisco chi canti. Le canzoni sono tutte uguali, tutti si rapportano a ciò che sta andando di moda e ripetono cose che han fatto già in tanti.

Nel primo singolo Solo Per Un Po’ (Libera), brano che meriterebbe un airplay radiofonico degno di nota, cosa difficile per une giovane indipendente, canti di avere bisogno di un momento per guardarti dentro. E’ uno stato d’animo che hai provato?

Certo. C’è stato un momento molto particolare in cui mi dovevo per forza fermare a guardare chi ero, dove stavo e che cosa volevo fare. La Pankina si stava sciogliendo, o per lo meno prendendo strade separate, mia madre non stava bene e c’erano in ultimo alcuni ostacoli che m’impedivano di rialzarmi. Mi sono così fermata, ho messo i piedi dritti e deciso che non volevo assolutamente smettere di provarci. L’unico modo che conosco per non smettere è lavorare duro.

Tu scrivi le tue canzoni. Hai mai pensato di farlo anche per altri?

Mi piacerebbe molto. Mi piacerebbe anche per capire come cose che mi rappresentano possano risultare passando per una sensibilità altrui. Scrivo comunque decisamente al femminile e quindi, se ti tolgo Mina, che… penso potrei anche morire se cantasse una mia canzone, mi piacerebbe molto scrivere per Elodie o Francesca Michielin, anche se lei spesso canta cose scritte di suo pugno.

Elodie però è una che ricerca molto e che prova a cantare sempre cose diverse; chissà che non incappi nel tuo mondo…

Ne sarei felicissima anche perché sai cosa trovo di molto bello in lei? Che è credibile qualsiasi cosa interpreti.

Rispetto ai dischi con Pankina, in questo N4BS, praticamente tranne che in una frase all’interno della title track , hai rinunciato a cantare in napoletano. E’ stato difficile?

No è stato voluto. Volevo che Donix camminasse per il nuovo binario. Cercavo il cambiamento per rialzarmi e per ripartire e provare a volare fuori. Il napoletano in questo non mi avrebbe aiutata.

Cosa è oggi la musica per Donatella/Donix?

La musica è trovare connessioni. Se ci si pensa tutto è già stato fatto. Ogni stile è stato esplorato, setacciato in migliaia di modi diversi. Non ci si può inventare molto. Quel che però si può fare è sicuramente creare punti di contatto tra le varie cose. Il può arrivare così.