7 Settembre 2019
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7 Settembre 2019

Biennale di Venezia 2019 – Riflessioni sul concorso della 76esima Mostra del Cinema

Dopo 11 giorni, la Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia è giunta al termine. Ma alla fine dei conti, com'è stata questa 76esima edizione?

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Biennale di Venezia 2019. Anche questa edizione, la 76esima, è quasi giunta al termine. Manca poco prima di sapere i vincitori, e i pronostici non sono in grado di dare un nome chiaro su cui scommettere per il tanto ambito Leone d’Oro.

Ma arrivati alla fine, com’è stata questa edizione della Mostra d’Arte Cinematografica?

BIENNALE DI VENEZIA 2019 I FILM IN CONCORSO

Partendo dal concorso, a mio parere, un’edizione inferiore rispetto quelle degli ultimi anni. Di Marriage Story, La Vérité e J’Accuse ne abbiamo già parlato in precedenza. Ma veniamo agli altri.

Ad Astra, film tanto atteso quanto rimandato per problemi tecnici, nonostante le immagini spaziali di grande potenza, ha lasciato l’amaro in bocca per la superficialità della sceneggiatura, con una riflessione esistenziale che non trova mai la giusta profondità, ma rasenta una semplicità quasi ingenua.

Joker è stata una delle grandi sorprese di questo festival, con un’interpretazione fenomenale da parte di Joaquin Phoenix. Il film offre sfumature dark e sviluppi narrativi folli, proprio come il personaggio raccontato.

Un film che si distacca dal classico comic movie per raccontare una storia che potremmo classificare come thriller psicologico, influenzato da grandi maestri come Martin Scorsese e ispirato dalla storia a fumetti Batman: The Killing Joke di Alan Moore.

Steven Soderbergh invece l’ispirazione la prende da Adam McKay e torna al Lido con The Laundromat (Panama Papers), un film accolto tiepidamente e non con troppo entusiasmo.

La storia racconta l’evasione fiscale con una struttura troppo slegata e sporadica, ma che riesce ad intrattenere. Una sorta di The Big Shortdecameronizzato“, con una serie di racconti satirici su come il denaro possa portare ad un’avidità fuori controllo e una società destabilizzata.

Divisivi invece  sono stati No. 7 Cherry Lane e The Painted Bird.

Il primo è un film di animazione dalla produzione cinese. Nonostante io  sia un grande appassionato di cinema sperimentale, mi ritrovo a mettermi nel gruppo delle persone ai quali il film non ha particolarmente colpito.

Sicuramente presenta alcuni sviluppi interessanti, ma mai del tutto convincenti. Privo di ritmo o di un’azione ben definita, con molti limiti tecnici e una sceneggiatura troppo contorta che, di certo, non aiuta.

Per quanto riguarda la seconda pellicola, sicuramente è stata quella che maggiormente ha creato scalpore in Laguna. The Painted Bird ha un’immensa cura nel dettaglio estetico, grazie un bianco e nero polarizzante e location suggestive; tuttavia, sebbene il film abbia una regia degna di nota, la sceneggiatura (tratta, peraltro, da un libro: “L’uccello dipinto”, del 1965) è solo una combinazione di violenze fisiche, emotive, sessuali e psicologiche. Un

puro viaggio caratterizzato da uno sguardo sadistico che ha il solo scopo di sconvolgere per il gusto di farlo.

Guest of Honour di Atom Egoyan è stata una delle mie più grandi delusioni in questo concorso.

Montato in una maniera quasi amatoriale e privo di ogni tipo di tensione narrativa, il film cerca di ragionare su temi come il perdono, la memoria e il senso di colpa, ma senza aggiungere nulla di nuovo al tavolo.

Confusionario nel suo fabula/intreccio, l’opera presenta tre diverse storyline nella vita di una famiglia in momenti diversi delle loro vite, legati tra di loro dai temi citati.

Non dico che sia un fallimento, ma sicuramente c’è poco oltre che un buon film.

Per quanto riguarda Babyteeth, sono entrato in sala completamente ignaro di ogni aspetto, e forse è stato meglio così. Il risultato? Sono uscito dalla sala completamente sorpreso grazie ad un’opera emozionante e reale.

Il film racconta la storia d’amore di una ragazza affetta dal cancro, il che non sembra particolarmente accattivante. Ma il tocco di umanità, la freschezza registica ed il perfetto mix di dramma e commedia rendono quest’opera forse una delle migliori in concorso.

Di ritorno al Festival il buon caro Roy Andersson dopo aver vinto nel 2014 con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza“.

About Endlessness è un ritratto minimale di situazioni umane legate dalla sensazione di perdita di un senso della propria esistenza. Sicuramente un ottimo film, ma la sensazione di “già visto” era sempre dietro l’angolo.

Saturday Fiction inizia come un dramma in una Shanghai occupata e finisce per diventare un puro film di spionaggio, con coreografie ed azioni interessanti. Ma l’ibrido mi ha lasciato parecchio perplesso, anche a causa di alcuni passaggi confusionari.

Il bianco e nero che regna sovrano cerca di dare un tono solenne, ma spesso sembrano solo delle riprese desaturate digitalmente, e decisamente troppo scure.

Gloria Mundi parte alla grande, con una critica alla situazione della classe lavoratrice, con chiari rimandi marxisti, ma si perde per diventare un banale dramma famigliare. Con scelte registiche non particolarmente interessanti, o spesso, addirittura ridicole (slow motion che mi hanno fatto più pensare ad un guasto del proiettore), il film non riesce a catturare l’attenzione.

Waiting for the Barbarians è stato l’ultimo film presentato in concorso, il che ha fatto finire il tutto con un sussurro e non un clamoroso fuoco d’artificio.

Si sviluppa in maniera molto lineare, senza troppa fanfare. C’è molto poco da dire su quest’opera, se non elogiare le location, costruite in maniera eccellente, e le performance, in particolare quella di un Mark Rylance in forma.

Un occhio di riguardo è quello per Ema. Un’opera intrisa di eros e sensualità. Il film richiede una certa pazienza da parte dello spettatore, a causa di una prima ora completamente distante da un’opera interessante.

Superata quella il film diventa il ritratto realistico e matto di un’intera generazione, quella dei millennials. Bravo Pablo Larraìn che non ne sbaglia una!

BIENNALE DI VENEZIA 2019 I FILM ITALIANI

Le opere italiane in concorso, invece, sono tre: Martin Eden, La mafia non è più quella di una volta e Il sindaco del Rione Sanità.

Martin Eden presenta un primo atto che si regge in piedi grazie ad una sceneggiatura solida ed ottime interpretazioni; ma il secondo atto si perde in un bicchier d’acqua, dando quasi la sensazione di voler terminare la storia ancora prima del tempo previsto.

Tuttavia, un’ottima produzione, con un saggio uso delle immagini di repertorio.

Il sindaco del Rione Sanità entra in una gabbia stereotipata nel dipingere Napoli, senza uscirne mai. Un’opera teatrale che, nella sua trasposizione cinematografica, non trova un’identità filmica ben definita.

Per il mio parere su La mafia non è più quella di una volta c’è da aspettare l’uscita in sala, in quanto impossibilitato a vederlo nelle proiezioni del festival.

Se dovessi scommettere sui premi, direi di tener d’occhio Babyteeth, Ema, Marriage Story e Joker. Ma per i risultati dobbiamo aspettare le 19 di oggi, in Sala Grande.

 

Nota di redazione: Vi ricordiamo che qui potete trovare tutti gli articoli del nostro inviato alla mostra, Matteo Mori, sulla Biennale di Venezia 2019.