Sarafine intervista a ridosso del suo tour nei club.
Dopo un anno dal suo album Un trauma è per sempre e un’estate in giro per festival Sarafine è pronta a tornare sui palchi e il pubblico la sta aspettando a braccia aperte. Alcune date nei club stanno registrando il tutto esaurito, segno che quando si rimane fedeli al proprio sentire, gli ascoltatori arrivano comunque.
Non ne ho idea, per me è stata una sorpresa. Ero terrorizzata all’idea delle prime date a pagamento, poi ho visto la risposta immediata e mi sono gasata, racconta sorridendo.
Il tour segna anche una svolta musicale: per la prima volta, Sarafine sarà accompagnata da due musicisti, Daykoda (synth e tastiere) e Matteo D’Ignazi (batteria).
Era un sogno da tanto. Dopo due anni da sola, avevo proprio voglia di condividere lo spazio con qualcun altro.
Nel nuovo live ci saranno tutti i brani pubblicati finora e anche pezzi inediti che anticipano un futuro progetto discografico:
Sì, spero che alla fine di questo percorso arrivi un nuovo disco. Sto scrivendo cose molto intime, è la prima volta che non penso al live ma a me stessa.
Una festa di fine anno (posticipata)
Dopo i club, Sarafine porterà il suo show in spazi più grandi: una data a Milano e una a Roma dal titolo Questo è il nostro show.
È nato tutto dalla risposta del pubblico. Le date sono andate sold out subito e abbiamo sentito la necessità di dare a tutti la possibilità di esserci. Sarà una festa finale, il nostro capodanno posticipato.
L’artista racconta un passaggio importante: dal voler intrattenere a voler scavare.
Il disco precedente era pensato per il live, per far divertire le persone. Ora sto scrivendo per me, senza pensare allo spettacolo. È un processo più intimo, quasi necessario.
Questa svolta coincide con un periodo storico che Sarafine vive con forte partecipazione civile.
Siamo abituati a chiuderci e a cercare le cause dei mali dentro di noi. Ma ci sono disagi strutturali, non solo personali. Quando è stata attaccata la flottilla, mi sono vestita e sono uscita in piazza. Ho sentito il dovere di esserci.
Quando le chiediamo di un sogno nel cassetto, la risposta è onesta e un po’ controcorrente:
Oggi molte collaborazioni sono strategiche, servono a far crescere il percepito. A me interessa solo la spontaneità. Però un sogno ce l’ho: un feat con Rilès, artista francese che ammiro moltissimo. Magari un giorno…
Foto di Elisa Hassert











