Nel nuovo appuntamento della rubrica Dillo all’Avvocato, l’Avvocato Fabio Falcone affronta un tema che negli ultimi giorni ha acceso il dibattito sui social: il cosiddetto “compenso per copia privata”, una questione affrontata sul suo profilo social dall’Avvocato e giornalista Angelo Greco.
Ricordiamo che Fabio Falcone, specializzato in Musica, Discografia e Diritto d’Autore, è uno dei pochi professionisti a unire la sua attività legale a quella artistica, come membro de La Differenza e come Pianista Indie. La rubrica è curata in esclusiva per All Music Italia e nasce per fare chiarezza su questioni legali che toccano direttamente il mondo della musica.
Oggi l’Avvocato Falcone sceglie di rispondere ad un collega, l’Avvocato, scrittore, giornalista e imprenditore, Angelo Greco, direttore di La legge per tutti, che da tempo si occupa anche di divulgazione giuridica sui social.
Ricordandovi che per domande o segnalazioni potete scrivere a redazione@allmusicitalia.it con oggetto “Dillo all’Avvocato” o visitare il suo sito ufficiale dell’Avvocato, lasciamo alui la parola per capire meglio la questione sul “compenso per copia privata“.
Pagare i creativi, la musica, non è un furto
Qualche giorno fa il direttore di All Music Italia, Massimiliano Longo, mi ha girato sul cellulare un post di Angelo Greco che sta facendo molto discutere sui social.
Il tema è quello della cosiddetta “tassa sulla memoria” – cioè il compenso per copia privata – applicato a smartphone, PC, chiavette USB e hard disk.
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Nel post si legge una frase chiave: “Chi ci guadagna: SIAE e le associazioni dell’industria culturale / Chi ci perde: i consumatori”.
Scritta così, sembra che pagare i musicisti, gli autori e in generale i creativi sia qualcosa di sbagliato, una sorta di privilegio tolto alla gente comune.
È proprio questa impostazione che rischia di spostare il dibattito sul terreno del populismo, alimentando l’idea che la musica (e l’arte in generale) sia “un costo inutile”.
Cos’è davvero il compenso per copia privata?
Dal 1992 in Italia esiste un contributo destinato a compensare autori, produttori e artisti per le copie private delle opere protette da diritto d’autore.
Non si tassa ciò che una persona copia realmente – impossibile da controllare – ma i dispositivi che potrebbero contenere copie.
All’inizio erano cassette e CD, oggi parliamo di smartphone, computer e memorie digitali.
Il gettito complessivo è di circa 150 milioni di euro all’anno, che vengono redistribuiti tra autori, artisti e produttori.
Chiariamo subito un punto: è giusto che i musicisti, i registi, gli scrittori e tutti i creativi vengano retribuiti per l’uso delle loro opere.
Così come pagare un biglietto del cinema o una licenza software non è “rubare soldi al cittadino”, allo stesso modo non lo è un compenso per garantire un diritto d’autore.
Il problema non è il principio – cioè riconoscere un valore economico al lavoro creativo – ma il meccanismo con cui oggi viene applicato, rimasto fermo agli anni ’90.
Un sistema da aggiornare, non da demonizzare
È vero che oggi la maggior parte dei contenuti si consuma in streaming e non più tramite copie fisiche.
Per questo il sistema del compenso per copia privata appare obsoleto e meriterebbe di essere aggiornato.
Ma attenzione: raccontarlo come “i consumatori perdono / gli artisti guadagnano” è fuorviante.
Così si crea uno scontro artificiale tra cittadini e cultura, come se il diritto degli autori fosse un abuso e non una tutela.
Greco nel suo post parla in generale di tutte le arti, ma io – che da oltre vent’anni lavoro come avvocato nella discografia e che sono anche musicista – sento il dovere di difendere soprattutto la musica.
Non perché valga più delle altre arti, ma perché so bene quanto sia fragile questo settore e quanto sia sbagliato far passare il messaggio che “pagare i musicisti” equivalga a uno spreco.
È esattamente il contrario: senza questi riconoscimenti, molti autori non avrebbero alcuna forma di sostentamento.
Il vero dibattito non è se pagare i creativi sia giusto o no – perché lo è.
La domanda da porsi è: come garantire che quel pagamento sia equo, trasparente e collegato ai consumi reali di oggi?
Spostando il compenso dai device allo streaming e ai servizi cloud; rendendo trasparente la distribuzione delle somme; assicurando che i benefici arrivino davvero agli autori e interpreti, non solo agli apparati burocratici.
Pagare i musicisti, i registi, gli scrittori per l’uso delle loro opere non è un abuso contro i cittadini, ma un diritto sacrosanto.
Quello che va discusso è come farlo nel 2025, non se farlo.
Impostare il dibattito come “chi ci perde: i consumatori / chi ci guadagna: gli artisti” significa solo alimentare un populismo che mette cittadini e cultura su due fronti opposti.
La verità è che senza cultura non perde solo chi compra un cellulare: perde tutta la società.
Avv. Fabio Falcone
Avvocato specializzato in Proprietà Intellettuale e Discografia, Musicista.
www.fabiofalcone.com











