5 Febbraio 2022
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5 Febbraio 2022

Sanremo 2022: Premio Testo & ConTesto. I testi migliori (e i peggiori) del Festival

Il nostro Prof di latino, come ogni anno, analizza e premia per noi i testi del Festival

Sanremo 2022 Testi
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SANREMO 2022: PREMIO “TESTO” (PER IL MIGLIOR TESTO)

III POSTO: MICHELE BRAVI, INVERNO DEI FIORI

Si riconosce uno stile autorale preciso, che si inserisce nel solco di una tradizione lirica votata a un uso immaginifico della parola.

Cheope, Michele Bravi e Raige disegnano un inverno dei fiori. Una stagione possibile: i fiori possono fiorire d’inverno, perché l’amore si erge anche nel buio che siamo chiamati ad attraversare, se depuriamo i momenti dal peso delle aspettative e condividiamo.

La felicità si impara disimparando, rigettando schemi, deponendo vecchi fardelli. Solo all’amore possiamo chiedere di farci fiorire anzitempo, anche negli inverni rigidi della vita: basta solo accettare di intrecciare le nostre radici a quelle di altre vite, affidarci e rinascere. Dimorare nei singoli momenti, anche se piove, anche se il film è già a metà, anche se è inverno.

II POSTO: LA RAPPRESENTANTE DI LISTA, CIAO CIAO

Perché la canzone, paraculamente arrangiata ed esibita, ha un forte asse concettuale e una coerenza di messaggio che la rende ficcante.

Il testo di una canzone non è una poesia: è un testo che vale se, nella sua interazione con il dettato musicale, crea una narrazione, evoca una suggestione, insinua un’emozione. Al di là della presunta semplicità della confezione, che ha fatto gridare allo scandalo molti fan del duo, il testo ha tutte e tre le caratteristiche.

Un’apocalisse danzereccia, come io amo definirla: l’esperienza della fine del mondo, affrontata con lo stile di chi saluta la vita come una regina sulle rovine. L’euforia del baratro è la suggestione potente del pezzo, tanto più potente quanto più il ritmo semplicistico e la coreografia tendono al grottesco.

Quando senti il brano, balli, è vero; ma se sei un po’ meno superficiale, senti anche la perversa perfezione di questa giostra della fine: una “dolce disdetta”, come entrare e uscire da un horror ora svelandone la finzione ora saggiandone l’ineluttabile concretezza. E tutto questo espresso con una cinica sintesi:

Nel silenzio della crisi generale
Ti saluto con amore

I POSTO: GIOVANNI TRUPPI, TUO PADRE, MIA MADRE, LUCIA

Se parliamo di testi, quello di Truppi (coautori Pacifico, Contessa, Buccelli) è indubbiamente l’unico testo letterario del Festival: l’unica, meravigliosa, narrazione di quest’anno.

Un amore che può essere guardato a ritroso e ancora raccontato o consegnato in eredità. Un amore maturo, quello che capiamo quando, da grandi, ricostruiamo la strada della memoria anche e soprattutto attraverso dei fatti minuti, resi immortali dalla loro banale normalità.

Una cena di sconosciuti in un bar di Torino e il gesto istintivo di guardare la mano (“per vedere se fossi sposata”) sono il motore di un movimento ondeggiante del ricordo: da lì si naviga avanti e indietro, tra gli interrogativi degli amanti che hanno tanto tempo alle spalle e sentono di doversi un bilancio (“Dove andiamo, che ci faccio qui?… O siamo sempre stati qui?).

Affiora la consapevolezza matura di avere davvero costruito dei momenti di cui fidarsi, di aver onorato l’amore stringendo i denti e di avere una verità da raccontare a chi ne deve essere testimone (“Tuo padre, mia madre o Lucia”).

Così Truppi, con le sue note storte da menestrello e con un’attitudine che guarda all’insegnamento di Dalla, ci regala una delle definizioni dell’amore più belle, a mio avviso, tra quelle elaborate dalla canzone italiana.

E se domani tuo padre, mia madre o Lucia
ascolteranno queste parole
si chiederanno, come mi chiedo anch’io, se questo è un amore
risponderò, come rispondo anche a me, che
amarti è credere che
che quello che sarò sarà con te.

 

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