10 Ottobre 2022
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10 Ottobre 2022

Ricordi dei Pinguini Tattici Nucleari: una storia di dolore in una canzone leggera che ci ‘ricorda’ il nostro bisogno di ‘ricordare’.

Torna il Prof di latino per analizzare un testo che tratta tematiche delicate: Alzheimer, paura della malattia e bisogno di custodire ricordi.

Pinguini Tattici Nucleari Ricordi testo
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Pinguini Tattici Nucleari Ricordi Testo & ConTesto a cura del Prof di Latino Davide Misiano.

Due brani alla numero #1 della classifica singoli in meno di un mese… Sono un fenomeno da non sottovalutare i Pinguini Tattici Nucleari: sono giovani Wannabe ma non troppo; spensierati ma non troppo; innovativi ma non troppo.

E in questo loro equilibrio, o se preferite in questa loro contraddizione, consiste a mio parere la loro trasversalità, la loro capacità di interpretare istanze e sentimenti di tante generazioni. Senza pretese poetiche, beninteso. Solo con un bisogno diretto, urgente (ma non troppo!), di rappresentare la vita, anzi la più normale delle vite.

Non scrivo da un po’. I testi degli ultimi mesi mi hanno lasciato indifferente, imponendomi quella sospensione del giudizio in cui ci rifugiamo quando sentiamo di non essere toccati da alcunché, quando ci accorgiamo di non scorgere niente di troppo bello o niente di troppo brutto.

Avevo bisogno di ritornare a questa rubrica, che ha rappresentato per me una possibilità di espressione senza freni. E aspettavo la canzone giusta. Un brano il cui testo mi “ricordasse” che una canzone leggera può attraversare le nostre giornate portandoci altrove.

Per caso in radio sento “Vedi, ci sono dei ricordi che mi devi” e resto agganciato. Ricordare è un dovere, e quando ci amiamo ci dobbiamo vicendevolmente dei ricordi. È una frase vera, per forza. Sembrano dircelo persino le parole di apertura e chiusura: vedi/devi, l’una l’anagramma dell’altra, cantate in slittamento tra falsetto e voce. Due parole della stessa consistenza fonica, un semplice spostamento di suoni che sembra consegnare magicamente una sentenza immodificabile. La senti e dici: “È vera… È per forza così”.

Pertanto, ho deciso di raccontarvi questa canzone, che ci ricorda il nostro bisogno di ricordare. Un bisogno universale, comune a tutte le storie e a tutti i tempi.

PINGUINI TATTICI NUCLEARI RICORDI TESTO

La chiave di lettura, o meglio l’occasione-spinta, ci è stata riferita dallo stesso frontman della band. Bruciando forse un po’ di evocazione, Riccardo Zanotti ha spiegato di aver voluto raccontare la storia di una coppia costretta ad affrontare l’esperienza della malattia: Lui è chiamato a rinnovare dei ricordi che Lei sta perdendo; l’Alzheimer glieli sta portando via gradualmente, pezzo dopo pezzo, frammentando la loro vita.

Se ci pensate bene, non è grave smarrire un ricordo, nella sua specifica consistenza, tanto che ci capita spesso di non ricordare un episodio. È grave perdere  l’intreccio, la connessione causale che lega un ricordo a un altro. È grave il disintegrarsi della memoria.

Anche i fatti più minuti, apparentemente insignificanti, sono importanti perché rappresentano l’anello irrinunciabile di un’avventura sentimentale che abbiamo codificato nella sua continuità: se si spezza quell’anello, non riusciamo più a capire quale possa essere la relazione tra ciò che sta prima e ciò che sta dopo il pezzo mancante. Ne esce frantumata la nostra identità, che è sempre una storia, mai una somma di fatti.

Così capiamo perché Lui nella prima strofa le prometta di essere “l’amico di scuola che ruba le biglie o l’amante impossibile taciuto in un sogno”; capiamo perché Lui abbia paura di rimanere al buio mentre prova a salvarla, schiacciato dal dovere doloroso di illuminarla, di riempirle i vuoti della memoria.

Se leggiamo il testo, entriamo nell’annebbiamento di Lei e sentiamo il dolore di Lui. Ma la musica sembra togliere retorica alle parole e ci introduce in un’atmosfera di dolcezza, enfatizzando la descrizione dei piccoli gesti quotidiani con cui LUI rievoca ciò che è perduto. Gesti che LUI vive come un’occasione per avere ancora, in qualche modo, la persona che ama.

Meglio non dire niente aspettando il mattino, sorrido
Se penso al nome che tu mi darai domani
Per reinsegnarti ancora il segno della croce
Così avrò ancora una scusa per toccare quelle mani.

Il ritornello è quella formula magica di cui vi parlavo, perché rovescia tutto. Lui, che sta ricostruendo i ricordi di Lei, chiede a Lei di dargli ancora dei ricordi. Le sta dicendo di restare.

Persino quel baby, parola che normalmente detesto (perché oggettivamente brutta e ormai inserita ovunque, come atto di inutile anglomania, a colmare i vuoti della metrica), pare una parola giusta nel momento in cui arriva. E ne esce risemantizzata, cioè rivestita di un nuovo, tenero, significato.

Vedi, ci sono dei ricordi che mi devi
Sei grande, ma ti chiamo ancora baby
Ho gli occhi rossi, ma non te ne accorgi
Ti guardo mentre dormi
Ma solo ieri c’eri, nei giorni neri
Quelli che piove troppo forte per stare in piedi
E fottevamo anche la morte volando leggeri
M’hai chiesto: “Dimmi cosa temi, che cosa credi?”
La mia risposta sei tu.

Già dal primo ritornello la focalizzazione si sposta su Lui: su Lui che ricostruisce la sua stessa memoria per consegnarla a Lei e per chiederle di rimanere (“Ma solo ieri c’eri, nei giorni neri… E fottevamo anche la morte volando leggeri”); su Lui che guarda senza essere guardato (“Ho gli occhi rossi, ma non te ne accorgi / Ti guardo mentre dormi”); su Lui che rinnova la sua scelta a dispetto di ogni cosa (“La mia risposta sei tu”).

E in tutta la seconda strofa Lui le racconta com’è adesso, adesso che Lei non può vederlo: le racconta della sua incapacità di ritrovare un “io da solo”, ora che deve rinunciare a quel “noi due” che LEI gli ha insegnato. Le racconta di come anche la sua mente e il suo cuore siano intermittenti rispetto alla vita. Un diverso eppure affine annebbiamento, assunto quasi per osmosi e abbracciato per amore.

Ora ti mangi da dentro, piccolo pianeta spento
Come una briciola al vento, è un buco nero e un occhio blu e
Sono poco più di un jamais vu tra tutte queste persone
Nella mia testa io gioco a Taboo, perdo se dico il tuo nome.

Lo special è il momento più didascalico, un’immagine struggente che lancia il ritornello, rendendo dolcemente eroico quel sentimento che abbiamo già descritto. Mentre sbadigliando afferra la boccetta di Aducanumab, farmaco specifico per l’Alzheimer, in preda a un’illusoria speranza Lui le dice:

“Io ti terrò la mano, tu tienimi l’anima
E pure se non sai chi sono, non lasciarla mai”.

C’è l’arida verità della malattia, ma c’è una richiesta di aiuto che è quasi una titanica reazione al destino.

“Io ti terrò la mano, tu tienimi l’anima”: un’altra frase che ha la forza di una sententia. Forte è il parallelismo tra i due membri di frase, ancora più efficace il gioco retorico che chiamiamo poliptoto: terrò e tienimi sono voci diverse dello stesso verbo, un futuro e un presente. Lui ha un futuro in cui le terrà la mano e le chiede solo un presente in cui LEI non smetta di tenere stretta la sua anima. Suona ancora come quel “Vedi, ci sono dei ricordi che mi devi”. È la richiesta di rimanere ancora, in qualunque modo.

Qui trovate il testo completo di Ricordi dei Pinguini Tattici Nucleari.

ConTESTO E SCRUTINIO FINALE

Come dicevo, forse la dichiarazione di Zanotti ha orientato un po’ troppo l’interpretazione. Forse non era necessario. Certamente la storia ci colpisce e avremmo potuto intuirla anche autonomamente, ponendo attenzione al riferimento al farmaco presente all’interno del testo.

Io credo, però, che la gradevolezza del testo sia nella sua possibilità di essere declinato sul piano interpretativo, piegato cioè a un significato più trasversale.

Abbiamo bisogno di ricordare, di riportare al cuore qualcosa (dal latino re- = di nuovo + cor, cordis = cuore) per sapere chi siamo. Abbiamo sempre bisogno di ricostruire ricordi per non perdere la “topografia dell’io”, tanto quanto per non perdere l’”astronomia del noi”. Abbiamo bisogno di darci vicendevolmente ricordi per amarci, per tenerci la mano, per tenerci l’anima. Questo mi piace del pezzo, e mi piace che la musica, luminosa ma non troppo, stemperi ogni eccesso di retorica a cui esporrebbe un’interpretazione troppo stretta del testo.