15 Aprile 2020
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15 Aprile 2020

Da Tiziano Ferro ad Amici, cara discografia ogni scusa viene buona per dichiararsi perdenti?

Alla luce del discorso di Tiziano Ferro, da molti non compreso. Monica Landro, discografica e giornalista, fa alcune riflessioni sul settore discografico

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Paradossale che Tiziano Ferro si esponga a nome di una categoria e ad accanirsi contro di lui siano prevalentemente gli addetti ai lavori di quella stessa categoria.

Sicuramente non ha gestito bene il senso del suo appello al Governo, ma poteva essere un assist straordinario per le Associazioni musicali che sull’onda della visibilità mediatica dell’artista oggi avrebbero potuto partire alla grande con le proprie richieste e attenzioni da parte delle Istituzioni.

Siamo indubbiamente alla canna del gas. Il settore musicale, comprendendolo nel suo più ampio spettro lavorativo, è agonizzante. Certo, non siamo i soli a patire gli effetti economici del virus, ma siccome il mal comune non ha mai aiutato, io rifletto sullo stato febbrile in cui il mio settore di riferimento versa.

E mi viene da dire, mutuando Vinicio Capossela, che “ogni scusa viene buona per dichiararsi perdenti”. La quarantena mi ha portato a diverse considerazioni in merito.

Tiziano Ferro, Amici, Social, musica… alcune considerazioni

La prima considerazione che faccio riguarda i social network: vedo condividere ricette, consigli su film e serie tv da guardare, libri da leggere…..ma mai che avessi visto condividere (escludendo i promoter musicali) una playlist di Spotify o che qualcuno chiedesse consiglio su un cantante da scoprire, su nuova musica da ascoltare.

Addirittura in pochi si sono appellati a testi di canzoni per descrivere le emozioni contrastanti che stiamo provando. Hanno piuttosto condiviso pagine di libri o stralci di poesie.

Non che il settore musicale non abbia provato a ritagliarsi uno spazio per fare sentire la propria voce, naturalmente. Musica che unisce, quel programma andato in onda il 31 marzo su Rai Uno e che ha visto coinvolti oltre 30 artisti che si sono prestati, dal vivo, aprendo le loro case, ad uno spettacolo bello, sincero, sentito, accorato, è stato un bell’esempio di musica legata all’emergenza, con fini nobili (donazioni) oltre che artistici.

Sui social ci sono state poche critiche negative, meno ancora quelle positive, però. Direi che, nonostante gli ascolti lo vedessero secondo solo all’inossidabile Harry Potter, non sia successo niente a livello di emozioni da condividere sui social.

Dove abbiamo sbagliato? Come mai la gente ha solo debolmente reagito? Addirittura il giorno dopo mi sono presa la briga di vedere se si fosse mosso qualcosa su Spotify e – mi si corregga se sbaglio – ad avere fatto capolino tra i più ascoltati è stata Hallelujah di Cohen che Ermal Meta ha interpretato magnificamente.

Sembra che non ci sia nessun programma o iniziativa musicale che riesca a dare una sferzata di energia alle nostre classifiche di vendita, che dia una scossa di positività al settore. Anche il nostro ultimo Sanremo, poverino, è stato colpito e affondato dal Covid-19. Come direbbe Fiorello: c’è stato del virussismo!

Eppure la musica è la forma d’arte più immediata e più comune per creare legami, per socializzare, per aggregarsi tant’è che -per unirci nella condivisione della paura e dell’incertezza di ciò che stava capitando in Italia ai primi di marzo- ci siamo messi a cantare sui balconi di casa. Ci si metteva d’accordo, da nord a sud, di cantare allo stesso orario la stessa canzone.

E qui arriva la mia seconda considerazione: abbiamo cantato L’inno d’Italia, Azzurro, Nel blu dipinto di blu, L’italiano, Mamma Maria, Felicità e molti altri classici della storia della musica nazional-popolare.

Capisco che tale scelta fosse dettata dalla volontà di coinvolgere anche i più anziani… ma possibile che negli ultimi 20 anni la discografica non abbia creato un solo brano che sia entrato nei cuori di tutti a tal punto da poterlo proporlo sui balconi d’Italia? Eppure abbiamo un lungo elenco di tormentoni….

Evidentemente non siamo riusciti a farli entrare nel repertorio degli evergreen della musica italiana. Può essere che sia così? Può essere che noi per primi non ci abbiamo creduto abbastanza?

A quanti di noi sarà capitato di sentire dire, (parlando tra addetti ai lavori,eh!) “Hai sentito il tormentone del momento? sì, ma tanto è una cagata che dura il tempo dell’estate”. Ecco, non è che noi per primi siamo “perdenti” quando parliamo del nostro settore?

Ho un’ultima considerazione, la più amara. Si è da poco conclusa la diciannovesima edizione di Amici. Sapete come stanno andando in radio? Male. Non vengono programmati. Non in questa edizioni, e neache nelle precedenti. Tendenzialmente quei talent sono abbastanza invisi alle emittenti che iniziano a programmarli in base ai risultati di vendita.

E come la mettiamo quest’anno che il Covid19 ci ha chiuso in casa? Ma vuoi vedere che senza “firmacopie” nei centri commerciali e nelle catene specializzate, la discografia si gioca la carta dei Dischi di Platino provenienti dai talent?

Vuoi vedere che la vera storia è che non freghi a nessuno di cosa canta tale “talento” ma che gli interessi solo la foto social, ottenibile solo dietro acquisto del disco?

Vuoi vedere che quando facciamo un disco non ci concentriamo sulla qualità dello stesso, al netto di un paio di canzoni, ma sulle azioni di marketing che se ne possano fare?

Il mercato discografico e tutta la filiera ad esso collegata è in crisi e la guerra virale in atto forse lo seppellirà, ma qualche considerazione sul valore che noi stessi diamo al nostro settore, sulla capacità di fare un efficace fronte comune con le Istituzioni (che si ricordano delle librerie e non della musica) e sulla capacità di penetrazione del pubblico per reale merito musicale ed artistico (cito ad esempio Lucio Dalla dal passato ma anche Brunori Sas nel presente) e non per visibilità trasversale, azioni strategiche e poco trasparenti di mercato di vendita, e manovre di social media managing la farei… perché oggi, complice il virus, non è che “ogni scusa viene buona per dichiararsi perdenti”?


Monica Landro è operatrice culturale nel settore musicale. Affianca da sempre il padre nell’etichetta discografica New Music International, imparando a conoscere il settore musicale dalla produzione alla promozione.

È anche una giornalista musicale ma soprattutto, come ama sottolineare sempre, è mamma di due adolescenti che come lei masticano pane e musica.

Con il padre, con i colleghi e con i figli si confronta sempre e cerca di avere una visione il più completa possibile del mercato musicale che la circonda.