6 Febbraio 2016
di Scrittore
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6 Febbraio 2016

Invecchiare vuol dire evolversi: elogio a VASCO ROSSI e al suo impeccabile stile

Le rockstar possono invecchiare o per aspirare all'eternità devono... Federico Traversa ci spiega perché Vasco Rossi è arrivato (e rimasto) dov'è...

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Una volta lo scrittore Ken Paisli mi ha fatto riflettere su una cosa a cui non avevo mai pensato.
Come? Chi è Ken Paisli? Se non lo sapete è inutile che vi parli di rock. Ken è  uno che ha cuore, visione, ispirazione, talento. E vive la musica pesante a 360°. Quindi correte subito a comprare Bad Obsession il suo rock-noir lisergico che sorprende e fa pensare e poi tornate qui.
L’avete fatto? Ok andiamo avanti.

In uno dei suoi libri Paisli scrive che nel mondo del rock lo scorrere del tempo è un problema che puoi affrontare soltanto in due modi: morendo giovane o invecchiando con dignità.
Nel primo caso diventi un archetipo maudit, con il viso eternamente imberbe e lo status di leggenda appiccicato addosso per l’eternità. Figo, vero? Peccato ci sia una severa controindicazione: non esisti più. E finché la reincarnazione non verrà inequivocabilmente provata dalla fisica quantistica, vi consiglio vivamente di evitare.

La seconda strada, invecchiare con dignità, è decisamente più sicura e divertente, seppure non semplicissima. Ci riescono in pochi. Non è facile continuare a restare credibili e al passo con i tempi quando gli anni passano, le droghe cambiano, il fisico si appesantisce e la rabbia giovanile inevitabilmente sfuma in un bolo masticato chiamato amarezza. C’è il rischio di diventare patetici. C’è il rischio di diventare la parodia di se stessi. Avete presente il povero Ozzy Osbourne? O i Motley Crue degli ultimi tour? Ecco ho reso l’idea…

Se però hai l’intelligenza di diventare liquido e non ricercare per forza l’elisir di gioventù, se sei capace di assecondare gli anni che passano con intelligenza e senza paragonarli a quelli che ti hanno visto ruggire come un giovane leone, allora il tempo te lo mangi. Più che invecchiare maturi e dagli anni che passano succhi quel nettare strano chiamato freschezza. Non criticando né cavalcando le mode, non assurgendo al ruolo di profeta, semplicemente evolvendo la versione base di te stesso.
E vinci. Ok, non sei più giovane e scattante. Ma di questo al pubblico non frega niente. Perché sei credibile, un archetipo vincente, un animale della condivisione. E ti amano i genitori e pure i loro figli. Ce l’hai fatta. Sei un grande, anzi un grandissimo.

Un esempio? Ce l’abbiamo in casa: Vasco Rossi. Uno che la vita l’ha vissuta tutta, senza saltare un livello.
Ricordate? Vi aiuto con un tuffo nel passato. Siamo nel 1980 e finalmente anche l’Italia sembra aver partorito un vero fenomeno rock, come gli americani. Si tratta di un tipo di Zocca, paesino dell’apennino tosco-emiliano, e ha un nome che è tutto un programma: Vasco Rossi.
Viene dal mondo delle radio, dove faceva il dj, e ha la capacità di sintetizzare in tre parole il disagio di una generazione disillusa che non ha più santi ne eroi. Il tutto condito con un’immagine maledetta che occhieggia al punk in maniera del tutto personale.

Dopo un paio di buoni dischi che lo consolidano come artista di nicchia, Vasco sembra pronto a spiccare il volo. Involontariamente gli da una mano il giornalista Nantas Salvalaggio che, a seguito di un’esibizione del nostro a Domenica In, si scaglia contro Vasco e contro la RAI, colpevole di ospitare nel suo più popolare programma della domenica un simile esempio di ebete, cattivo e drogato.

Nel 1981 esce l’album Siamo solo noi considerato dalla critica come uno tra i lavori migliori di Vasco; la canzone che dà il titolo all’album verrà più volte identificata come un vero e proprio “inno generazionale”.
La carriera della nascente rockstar ottiene il definitivo risalto nazionale nel 1982, quando Vasco Rossi partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Vado al Massimo, con cui si classificherà ultimo. Il brano contiene una ironica risposta a Nantas Salvalaggio, che lo aveva così duramente criticato sulle pagine del settimanale Oggi.

L’anno seguente Vasco va di nuovo a Sanremo, presentando Vita spericolata. La canzone diventerà uno dei classici della musica italiana, raggiungendo lo stesso anno il 6° posto nella classifica dei 45 giri. La performance del signor Rossi a Sanremo fa scalpore: Vasco abbandona il palco ancor prima che finisca il brano, tirandosi dietro il microfono, che, collegato col filo all’amplificatore, cade, creando il panico fra i conduttori dello show. Segue l’uscita dell’album Bollicine che consacra definitivamente Vasco a icona del rock italiano, diventando il quinto album più venduto dell’anno.
L’ironica tittle track, Bollicine, farcita di slogan e frasi allusive nei confronti della cocaina vince il Festivalbar ’83 e il tour per promuovere l’album è un trionfo.

Sembra tutto fantastico per il giovane rocker  nativo di Zocca ma c’è un problema, un problema serio: la vita spericolata che canta nei suoi brani, Vasco sembra viverla anche nella sfera privata. Il cantante è farmaco-dipendente, vive come se fosse sempre su un palco, non dorme per giorni interi, assume anfetamina per stare sveglio e tranquillanti per prendere sonno, senza contare l’extra della cocaina. E a suon di andare alla massimo, alla fine capita che ti si sgonfino le vele.
Il 20 Aprile del 1984, Vasco viene fermato dai carabinieri in una discoteca nei pressi di Bologna. Segue una perquisizione nel casolare di Casalecchio, dove il signor Rossi abita insieme ad altri componenti della sua band. Prima che gli agenti inizino a distruggergli casa, Vasco, ormai alle strette, consegna spontaneamente 26 grammi di cocaina ai carabinieri.
Il rocker non finisce al Roxy Bar ma al carcere di Rocca Costanza, vicino a Pesaro, con l’accusa di detenzione di cocaina e spaccio non a scopo di lucro. Vi trascorrerà 22 giorni, di cui 5 in isolamento.

Del panorama musicale italiano soltanto Fabrizio De Andrè e Dori Ghezzi danno pieno sostegno al cantante, visitandolo in carcere.
Il 12 maggio Vasco ottiene la libertà provvisoria. Il processo lo scagiona dall’accusa di spaccio ma lo condanna a due anni e otto mesi con la condizionale per detenzione di sostanze stupefacenti.
Ricordo che avevo 9 anni, allora, e sulla guida tv che mio nonno comprava ogni settimana c’era una foto del Blasco con scritto: “Vasco in carcere, perché?”.
Ricordo che corsi da mio fratello più grande e gli chiesi perché avessero arrestato il grande Vasco. Mio fratello, sogghignando, mi rispose: “Perché gli piace la bonza!”.
Allora corsi da mia mamma urlando: “Mamma, mamma cos’è la bonza?”.
Non nego che sul momento non capii perché mia madre si arrabbiò così tanto con mio fratello…

Uscito dal carcere, Vasco pubblica l’album Cosa succede in città, dove nel brano Cosa c’è, si dimostra capace di ironizzare sui casini che ha combinato con la cocaina.
Dopo il conseguente tour, sparisce per un paio d’anni, tornando soltanto nel 1987 con il disco C’è chi dice no, un autentico capolavoro che svetta in testa alle classifica vendendo quanto il latte.

I problemi con la coca sono risolti? No, non ancora almeno. Il primo luglio del 1988 Vasco viene nuovamente arrestato mentre, a bordo della sua BMW 750, procede zigzagando sulla A14 con a bordo un grammo di cocaina, uno sfollagente e una pistola lanciagas.  Visto il quantitativo minimo, il Blasco se la cava ed esce quasi subito. Sarà il suo ultimo sbaglio, almeno documentato.
Da lì in poi la carriera del rocker di Zocca sarà un susseguirsi di successi, concerti sold out e vendite colossali che lo consacreranno a vera e propria divinità musicale, con un seguito superiore a qualsiasi altro musicista italico da qui all’eternità.

Il 12 maggio 2005 lo IULM di Milano gli conferisce addirittura la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione.
E intanto Vasco è cresciuto, ha acquistato consapevolezza, traslando dal ruolo di figlio maledetto a quello di padre consapevole senza smarrire una goccia di freschezza. Si è evoluto semplicemente accettando il tempo che passava.
Oggi il profeta del male di vivere è un musicista di 63 anni che in Italia vende più di tanti giovani colleghi e che non inneggia più alla vita spericolata ma suggerisce di non spingere sempre sull’acceleratore. Ed è credibile, ed è vero. Se gli spari lo centri. Condivide il tempo che passa inesorabile sul suo volto senza nascondersi. E vince su tutta la linea.
No, non è un sopravvissuto. È un fulgido esempio di un uomo che ha saputo attraversare le proprie stagioni senza cedere di un millimetro. Senza usare scorciatoie.
Con intelligenza.