27 Ottobre 2018
di Scrittore
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27 Ottobre 2018

Piotta – Interno 7 – Recensione

Il rap è vivo e ce lo racconta Federico Traversa con la recensione dell'ultimo album pubblicato da Piotta, Interno 7

Piotta
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Per una strana legge chiamata contrappasso a volte i momenti bui portano impensabili attimi di chiarezza e ispirazione raramente raggiungibili quando va tutto bene. In un anno per lui terribile – con la perdita del padre, la consapevolezza di trovarsi in un Italia assai cambiata e sempre più ricolma d’odio, più altre varie ed eventuali – Tommaso Zanello, in arte Piotta, raggiunge una cifra stilistica mai così alta e realizza il disco della vita, il suo white album. E punto.

In anni di trap e rapper mono neurone che sbraitano di rolex (sì, lo scrivo minuscolo, anche se la cosa potrà turbare i tanti cazzoni che per darsi valore si prezzano con inutili gingilli sul polso), lamborghini, tatuaggi e inneggiano alla non coscienza, l’artista romano realizza uno dei primi autentici album di cantautorato rap. Un viaggio malinconico e commovente in un Italia che non c’è più raccontata a noi giovani che giovani non siamo più. E Tommaso lo fa con bellezza, garbo, misura, amore.

Quell’amore semplice del singolo Solo per Noi, che arriva dritta e dolce come un bacio dato a quindici anni, oppure quell’amore che brucia e odora di perdita della struggente Piazzale Lagosta 1. Un amore che sa essere duro, corrosivo, potente, così forte da riportare in vita il fantasma dell’amico scomparso Primo (Un estate ed è finito) per farlo rappare contro tutti quei smonta sogni rimasti delusi, perché la musica di Davide, Tommaso e tutto quel manipolo di pazzi che si inventarono il rap in Italia è ancora qui che brucia dentro un mic. E quando Piotta dice “ci stanno intorno ma non vengono mai sotto” non credo si riferisca solo agli uccelli del malaugurio di certa stampa dell’epoca ma anche a questo branco di stronzi che oggi fa svolazzare parole d’odio sopra le nostre teste e vuole solo dividere.
La stessa forza ed energia del pezzo con Primo brucia nella magnifica Il primo Sogno (feat. Orchestraccia), bella e ispirata come una corsa a pugni chiusi sotto un temporale.

Ma il disco è tutto da ascoltare, anzi da vivere, anche nei suoi momenti più sciolti, rilassati, come quando si gioca con il soul delicato da fine serata (Sempre Là), e Piotta ci insegna che si può parlare di passione con fantasia e senza scomodare i soliti cliché triti e ritriti di certo rap machista.
Un disco così ispirato e poetico che nella title track un poeta lo scomoda davvero, ma non di quelli mummificati che pubblicano i loro versi senza vita in certe riviste dove poeti leggono altri poeti per essere loro stessi accettati e letti. No, qui arriva Er Pinto, un vero ‘core’ de Roma che con i suoi versi potenti duetta con Tommaso in un groove di parole maledette che scendono fino alla fine del mondo.

Maledetti quegli anni 90 non la spiego. Va ascoltata e basta. Erano dieci anni che non piangevo per una canzone e in un attimo eccomi lì, a osservare la mia faccia rigata dalle lacrime e segnata da tante, troppe battaglie mentre il tempo puttana se la ride violentando la clessidra ben sapendo che intanto sarò io a pagare il conto.
E niente, questo è, ragazzi. Un album bellissimo. Poetico, visionario, malinconico senza mai scendere nell’autocommiserazione. Indiscutibilmente uno dei migliori dischi rap degli ultimi quindici anni. Un lavoro che inevitabilmente diventerà un classico, con cui ogni artista che aspiri al rap conscious dovrà fare i conti.
E se non lo capite vi meritate Gué Pequeno.

BRANO MIGLIORE: Tutti
VOTO: 8


TRACKLIST

1. Ma la vita
2. Solo per noi
3. Il tempo ritrovato
4. Hai mai
5. Le facce nascoste
6. Maledetti quegli Anni 90
7. Fa na buona jobba (Ft. Dub FX)
8. Di noi – Back to the 90’s rmx
9. Un’estate ed è finito – 2018 Version (Ft. Primo Brown)
10. Interno 7 (Ft. Er Pinto)
11. Il primo sogno (Ft. Orchestraccia)
12. Piazzale Lagosta 1 – 2018

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