22 Gennaio 2015
di News, Interviste
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22 Gennaio 2015

NEW GENERATION: Intervista a FILIPPO GRAZIANI “Fare musica è il mio esorcismo”

FILIPPO GRAZIANI: «Non c'è stato il tempo di confrontarmi con mio padre Ivan. La TV strappalacrime non mi interessa». E intanto prende forma il nuovo disco!

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Quest’oggi vi facciamo conoscere meglio un artista nato e cresciuto in quel di Rimini, in un ambiente ricco di musica e parole: è da poco uscito il videoclip del suo pezzo Nove mesi e All Music Italia è molto felice di averlo per la rubrica New Generation. A voi il cantautore Filippo Graziani!

Figlio di Ivan Graziani, il giovane Filippo muove i suoi primi passi nel mondo della musica pubblicando prima un EP anglofono e successivamente una raccolta live quale omaggio all’imponente carriera del padre, per approdare poi, un anno fa, al Festival della Canzone italiana, finalmente col suo primo album di inediti tutto in italiano: lo intitolerà Le cose belle, proprio come il brano presentato in gara a Sanremo Giovani 2014!

Cover_Graziani_B

La pubblicazione de Le cose belle ha rappresentato il momento della conquistata maturità artistica per Filippo Graziani, il quale si è tolto nei mesi successivi al Festival tante soddisfazioni, portando a termine una lunghissima tournée italiana e aggiudicandosi infine l’ambita Targa Tenco 2014 per la Migliore Opera prima (di cantautore). (QUI trovate tutti i vincitori per categoria!)

Leggerete di questo e di molto altro nell’intervista che abbiam realizzato per voi col cantautore riminese; in chiusura troverete inoltre un piccolo video di saluto da parte dell’artista! Buona lettura!

Ciao Filippo! Come stai? Cosa hai fatto durante queste vacanze?

Ciao! Ho passato le vacanze pressoché in tranquillità. Ho continuato a lavorare al mio secondo disco e alla sua scrittura, ogni momento è buono per farlo: lo sto realizzando nello studio che ho a casa, mi ci sto dedicando a pieno ritmo.

È da poco uscita la clip di Nove mesi, il tuo nuovo singolo: è legato a un ricordo particolare? Perché lo hai scelto?

Nove mesi, in realtà, è uscito come un bonus: avevo questo video pronto, registrato ancor prima che uscisse il disco, così ho deciso di condividerlo e di pubblicarlo sui miei canali Youtube, Facebook e quant’altro; poi è un pezzo che mi piace particolarmente. L’intenzione non era dare nuova linfa all’album di debutto, perché credo che ormai Le cose belle abbia dato tutto quello che poteva e in questo momento voglio tornare quanto prima nelle radio e nei negozi di dischi con canzoni nuove.

Hai detto che Nove mesi racchiude «la metafora del parto per descrivere la nascita di un amore».

Esatto, è proprio così! Ti dico, ho 33 anni e intorno a me tutti gli amici storici, quelli con cui son cresciuto, in quest’ultimo periodo hanno iniziato a mettere su famiglia, ad avere figli propri, e così mi è balenata nella testa l’idea del concepimento, ci ho molto riflettuto su. Il pezzo è venuto fuori da sé, anche l’amore prende vita da un atto di nascita, come un bambino: in tutt’e due i casi ci vogliono due persone, ci vuole impegno, ci vuole dedizione. E per quanto qualcuno possa trovare ambiguo il paragone, a mio modo di vedere invece è molto calzante.

Il singolo antecedente è Cervello (Ne abbiam parlato QUI). Canti: «Pensavo avessi di più da dare. […] Pensavo avessi di più da dire.» Sai bene che così come nel Festival di Sanremo a cui hai preso parte un anno fa, anche nel panorama musicale italiano la concorrenza è agguerritissima, pertanto chiedo: cos’ha da dare e da dire Filippo Graziani?

Da dare ho ancora tanto, anzi direi che ho ancora tutto: sono contento del mio disco di debutto, ma l’ho portato al pubblico allo stesso modo con cui si servirebbe un antipasto prima del piatto forte. E il piatto forte sarà il secondo album, che spero di farvi ascoltare molto presto.

Da dire idem, voglio continuare a raccontare il periodo storico che stiamo vivendo e le sue contraddizioni, il modo con cui esso ha modificato la quotidianità e la vita delle persone comuni, i rapporti umani. C’è tanto di cui parlare, da cantautore mi ritengo finanche fortunato ad essermi trovato in questo contesto, che mi offre continui spunti per il mio lavoro: ho un mio punto di vista e lo voglio condividere con chi avrà piacere di ascoltarlo.

Hai lanciato Cervello con un videoclip, in cui è ospite d’eccezione Mr. Andrea Diprè, personaggio a dir poco sopra le righe. Cosa pensi della sua arrampicata al successo? Lo hai scelto per il tuo video solo per avere maggiori views o lo conoscevi da prima?

No, non lo conoscevo, se non attraverso i suoi video! La clip di Cervello trae ispirazione dalla classica festa di fine anno, sai, di quelle americane Anni Ottanta che ogni tanto si vedono nei film: così c’era bisogno della figura di questo preside, che fosse estremamente bacchettone, conservatore, e che dicesse cose pesanti, retrograde; ovviamente non volevo uno qualunque, anzi serviva un personaggio che creasse contrasto e rendesse la scenetta esilarante.

Ho contattato Andrea Diprè attraverso il numero che si trova in giro, è stato subito propenso a partecipare perché l’idea gli è piaciuta un sacco: Diprè gravita intorno al mondo della trasgressione e del trash da anni, chi meglio di lui poteva recitare la parte del rettore bacchettone? Il risultato mi piace molto, è stato molto divertente fare le riprese con lui, anche perché bisogna distinguere sempre il personaggio dall’uomo: Andrea è una persona come tante, che ha saputo creare un vero e proprio business con le sue mani e con la sua dedizione. Sicuramente molti non lo apprezzeranno, alcuni lo odieranno perfino, ma indubbiamente lui ha trovato un modo originale di affermarsi e il successo riscosso dai suoi video marcia a suo favore oltre ogni critica. Mi ricorda un po’ Ciprì e Maresco per via di questa scelta di prendere personaggi assurdi e farli vedere alla gente per come sono, poi è chiaro che non possiam metterci a disquisire di integrità morale o cose così perché non avrebbe molto senso.

Hai iniziato a fare musica componendo in inglese, con il progetto stoner-rock Carnera nel 2008: hai pubblicato l’EP First round, arrivando poi ad aprire l’unico live italiano di Zakk Wylde (storico chitarrista di Ozzy Osbourne). Com’è questo EP? Perché hai deciso poi di tornare alla tua lingua madre e al repertorio di papà Ivan?

Ho avuto la fortuna di crescere bilingue, grazie allo zio e ai cugini canadesi; scontato dire che l’inglese calzi a pennello in generi quali il blues e il rock, è un fatto noto. First round è nato dalle mie sperimentazioni musicali di qualche anno fa, che ho sentito l’esigenza di realizzare anche un po’ per discostarmi da ciò che ascoltavo nel mio ambiente familiare e per trovare un’ identità personale. La band dell’epoca è grosso modo la stessa con cui suono attualmente: per noi ha rappresentato un esercizio di stile, ma è vero pure che da lì son nate tante bellissime aperture di concerti, come quella di Zakk Wylde che hai citato. Inoltre, First round mi ha accompagnato negli Stati Uniti, l’ho suonato in giro a New York, quel periodo l’ho vissuto come la mia università.

Quando son rientrato in Italia, ho dovuto fare i conti con me stesso e con l’universo musicale che avevo dentro casa e che mi chiedeva di poter uscire fuori, perché al di là di eventuali cover band, i brani di mio padre avevan bisogno di tornare nelle piazze con uno spettacolo di livello: tecnicamente non si tratta di pezzi semplici e alla portata di tutti, in più serviva una voce alta e consona… Perciò ho pensato: “Perché non portarlo avanti io stesso questo repertorio, al posto di qualcun altro?”

Era quello che voleva la gente del resto, il successo non è arrivato inaspettato; ci tengo a dire che dal canto mio, non è stato un “sostituirsi a”, ma l’ho vissuto piuttosto come un esorcismo per me stesso, visto che io son quel che sono anche grazie a quelle canzoni e all’ esempio di mio padre Ivan: ho deciso di partire da lì, perché non volevo più fuggire da quella parte di me. È stato un momento importante, di svolta, infatti contemporaneamente ho cominciato a scrivere i brani che son poi confluiti nel mio primo disco di inediti tutto in italiano.

Hai gareggiato a Sanremo Giovani 2014 col brano Le cose belle, che dà il titolo all’ album. L’hai vissuto semplicemente con l’intenzione di portare la tua musica al grande pubblico o il risultato che avevi in mente era la vittoria?

No, vincere no, quelli che fan musica come me non vincono Sanremo, semmai approfittano dell’opportunità; poi io odio le gare in genere, non mi interessano. Credo che la competizione realmente serva più allo spettacolo e alla televisione, che non alla musica.

Chi era il tuo preferito nella finalissima?

Ti dico la verità: c’è stata tanta bellezza umana fra noi concorrenti, che io non facevo il tifo per nessuno in particolare; per tutti noi – ZibbaDiodatoThe Niro, Rocco… – era già bello essere lì, anche perché lo scorso anno Fazio al Festival ha portato molta musica per così dire alternativa, non propriamente mainstream, ed eravamo stati scelti nel cast, perciò ciascuno era molto felice di potersi esibire di fronte a un pubblico così importante, su quel palco che ha fatto storia.

Di cosa parla la canzone? Qual è la cosa bella che ti ha fatto male e che ti ha portato a scriverla? Se si può dire.

No, non c’è stato un episodio in particolare che io ricordi. Il brano nasce dalla riflessione sulla duplice natura di ciò che la vita ti porta giorno per giorno: le cose belle che ci arrivano possono nascondere lati negativi di cui spesso ci accorgiamo poi.

Come ti dicevo ho 33 anni: ero bambino negli Anni Ottanta, son diventato adolescente nei Novanta; son cresciuto con l’idea, propinata soprattutto dalla televisione, che la nostra società avrebbe raggiunto col nuovo millennio il suo punto di massimo splendore, mentre ora io e quelli della mia generazione ci troviamo persone adulte alle prese con un mondo in crisi e pieno di problemi. Altro che le promesse di Ritorno al futuro, ci tocca fare i conti con la benzina due euro al litro!

Le cose belle dice in sostanza: “Teniamo la guardia alta, non è questo il momento di scherzare”.

Com’è nata la clip di Le cose belle? Il pugilato è uno sport che ti piace o che pratichi personalmente?

Sì, assolutamente, mi piace molto. Quando ho provato a partecipare a Sanremo, avevo bisogno urgente di un video e, non essendo sotto contratto con etichetta alcuna, naturalmente me la son dovuta vedere da solo: avevo poche (ma proprio poche!) centinaia di euro a disposizione e così ho chiamato un mio amico che faceva riprese ai matrimoni. Ho pensato di registrare la clip attraverso una normale seduta di allenamento, con la collaborazione del mio coach; mi piaceva la metafora della vita come una sfida sul ring. Il risultato mi ha convinto, trovo che il pregio maggiore del video sia la sua sincerità.

Il tuo album Le cose belle è uscito da quasi un anno ormai, ma continua a darti soddisfazioni e tra queste, non ultima la Targa Tenco 2014 per la Migliore Opera prima (di cantautore). Come hai reagito quando te lo hanno comunicato? Ironia della sorte, sei tornato all’Ariston per ricevere il premio…

Quando ho saputo di essere rientrato nella cinquina dei finalisti, è stata per me davvero una bella sorpresa, perché non credevo che il mio disco fosse materiale da Premio Tenco, dal momento che ha un’anima molto elettronica e non è granché tradizionale. Poi riuscire a vincere, addirittura… mi son sentito rinato, è stata una soddisfazione grandissima alla luce di tutto il lavoro che ho profuso ne Le cose belle, dai testi agli arrangiamenti e via discorrendo. Poi questo 2014 è stato l’anno delle novità per il Premio, il Miglior Album è andato a Caparezza e al suo Museica, perciò la felicità è doppia!

A dire il vero stavi per vincere la Targa Tenco come Miglior interprete già nel 2011, con l’album Filippo canta Ivan Graziani live.

È vero, in una categoria diversa come hai ricordato. Non ti nego però che forse è stato meglio così: vincere per vincere preferisco che questo riconoscimento sia arrivato con qualcosa che è sotto tutti gli aspetti farina del mio sacco; anzi, ti dirò, mi ha aiutato a capire che la mia identità musicale ora esiste, che sono pronto per questo mestiere e che mi sono emancipato e liberato da vecchi retaggi familiari.

Qual è l’errore più grande che possono commettere i “figli di”? Tuo padre appoggiava i tuoi sogni di musica?

Sai, con mio padre non ho avuto la possibilità di discutere di musica a certi livelli, perché ero ancora giovane quando se n’è andato, non avevo iniziato a scrivere cose mie. Molti credono che il figlio di venga automaticamente indirizzato dal rispettivo genitore celebre in un certo modo, ma la realtà spesso è ben diversa, soprattutto se, come nel mio caso, non c’è stato il tempo materiale per avere un confronto maturo.

Io ne conosco tanti figli d’arte, ho rapporti con loro… Mi vengono in mente Alberto, figlio di Bertoli, o Chiara Canzian, o lo stesso Cristiano De André… Non riesco a trovare, in senso assoluto, un possibile errore che si rischia di commettere, perché è una cosa talmente soggettiva: secondo me varia da situazione a situazione, da figlio d’arte a figlio d’arte. Pertanto, penso che uno debba fare quello che si sente, a prescindere e senza marciarci su, benché in Italia si tenda spessissimo a dare spazio, soprattutto in TV, alle storie strappalacrime, in cui magari all’arte e alla musica vengono anteposti l’ideale della famiglia Cuore e facili sentimentalismi. Ma è una cosa svilente, che non mi piace e alla quale non mi sono mai prestato.

Dal repertorio di Ivan, E sei così bella è il pezzo che più di tutti gli altri hai fatto tuo.

Assolutamente sì, è una di quelle canzoni che avrei voluto scrivere io, perché lo sento in sintonia con me, con il mio modo di comporre, perciò tra tutte è quella che ho scelto per me, “me la sono presa” se si può dir così.

Paranoia ci accompagna nell’epilogo di Le cose belle.
Mi aggancio al titolo e ti chiedo: quali sono le paranoie (legate al tuo lavoro o alla tua personalità) con cui ti misuri più spesso?

Mah, ci vuole una seduta dallo psicologo per dirle tutte! (ride, ndr)

Paranoia l’ho scritto apposta per quello; sai, la paranoia è un po’ la compagna di vita di ciascuno di noi in questo momento storico di crisi, per via della difficoltà di arrivare a fine mese, o di vivere rapporti umani sani, o ancora per altri motivi… Chi è che non ha paranoie?

La musica, almeno per me, in questo senso è esorcismo puro, è il modo con cui affronto le mie peggiori paure, è la mia sessione di autoanalisi.

Per quanto non tutto il pubblico ne sia molto consapevole, dietro alla pubblicazione di un album c’è un lavoro incommensurabile, cui prendono parte attiva tante persone, con grande impegno.
Cosa ricordi della produzione di Le cose belle? Hai qualche aneddoto da raccontarci?

Mah guarda, se ti dicessi che la storia di quel disco è tutto un aneddoto, non peccherei di falsa testimonianza!

Ho iniziato a registrare le prime tracce di quel disco nel garage di un mio amico, allestito a studio di registrazione; da lì ci siam spostati in un altro garage, sempre da noi “reinventato” per continuare le registrazioni (e questo posto, dopo un anno, è diventato davvero uno studio professionale in piena regola!); poi è arrivata la sorpresa di Sanremo: io e la band eravamo ancora in fase di “provinaggio”, così ci siamo affrettati per chiudere la produzione e abbiamo corso per rispettare il tempo che avevamo a disposizione, di due settimane!

La cosa più divertente è stata aver iniziato a lavorare a Le cose belle tra gli odori di una cantina e averlo terminato in una struttura gigantesca che è cresciuta e si è perfezionata insieme col disco, in poche parole. Inoltre, ha visto città diverse, ha respirato l’aria di posti differenti… È un disco che ha viaggiato molto prima di uscire.

Stai lavorando a un nuovo prodotto: Caparezza sostiene a buon diritto che «il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un artista.»

E ha ragione! Al momento siamo alla fase di scrittura, come ti dicevo: ho fatto delle pre-produzioni casalinghe e, dal momento che ho tanti amici nel mondo dell’arte e dello spettacolo, ne ho approfittato per far ascoltare delle piccole cose a qualcuno di loro, per ricevere pareri e consigli. Sono contento dei feedback positivi che ho riscosso e inizio a vedere con più chiarezza la strada da percorrere. Diciamo che col primo disco provi a dimostrare chi sei e a mettere quanta più carne a cuocere possibile; col secondo devi prendere una direzione precisa e in più provare a “fare più casino” per superare te stesso.

Inoltre, intendo proporre un nuovo album più omogeneo, costruito secondo un filo logico, anche perché ora mi sento un po’ più sicuro dei miei mezzi e con esperienza maggiore nella composizione.

Immagino che ancora non si sappia indicativamente quando uscirà.

No, in effetti. Non mi sono dato scadenze, al momento voglio lavorare senza ulteriori pressioni, perché voglio giocarmi al meglio questa nuova pubblicazione. Quando sarà il momento giusto, uscirà e lo potrete ascoltare, questo è sicuro!

Benissimo, allora attendiamo buone nuove a riguardo! Filippo, grazie di essere stato nostro gradito ospite, ci salutiamo con un must delle nostre interviste: il giochino rompi-disco! Sei pronto?

Grazie a voi! Vai vai! 

Allora iniziamo. A chi rompi il disco: Negramaro o Subsonica?

Aaaargh… non vorrei proprio rompere nessuno dei due! Sono più legato ai Subsonica, li ascolto da quand’ero ragazzino… Giusto per un fatto affettivo, spacco i Negramaro!

Ligabue o De Gregori?

Eh, spacco Ligabue.

Alex Britti o Niccolò Fabi?

Uff… spacco Alex.

Elisa o Giorgia?

Fra Elisa e Giorgia… ma sai che lo spacco a… lo spacco a Giorgia, dai.

Litfiba o Stadio?

Spacco gli Stadio subito, non ci penso neanche!

Coldplay o U2?

Ma spacco U2 e Bono Vox… subito e anche volentieri!

Madonna o Lady Gaga?

Lady Gaga, alla grande!

Beatles o Rolling Stones?

Oh, non me ne voglia nessuno ma… lo spacco ai Beatles! Viva gli Stones, e che ca*zo! (ride, ndr)